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“Rafforzare le vecchie alleanze e stabilirne di nuove”. Questo l’obiettivo del tour in Nord Africa per Mark Esper, capo del Pentagono impegnato in una tre-giorni tra Mediterraneo e Sahel. Attenzione soprattutto alla tappa in Algeria, a meno di un anno dalla fine dell’era targata Abdelaziz Bouteflika, contraddistinta da un rafforzamento pressoché costante dei legami (soprattutto militari) tra Algeri e Mosca. A preoccupare Washington è anche la crescente influenza cinese nell’area, nell’ambito di un riordino della postura internazionale da adattare al nuovo confronto tra potenze.

LA VISITA IN TUNISIA…

La visita in Tunisia, con tanto di incontro con il presidente Kaïs Saied è stata corredata dalla firma con l’omologo tunisino di una roadmap decennale per la cooperazione bilaterale in campo militare tra i due Paesi. Focus sul potenziamento delle capacità operative delle Forze armate tunisine, con primo riferimento alla lotta al terrorismo e alla stabilizzazione di un’area complessa, tra la crisi libica e la perdurante instabilità del Sahel, su cui di recente è intervenuto anche il colpo di Stato in Mali.

…E IN ALGERIA

Maggiore attesa c’era per la tappa in Algeria, con tanto di incontro con il presidente Abdelmadjid Tebboune, giunto alla guida del Paese alla fine dello scorso anno, con la vittoria alle elezioni dopo quattro mandati (vent’anni) targati Abdelaziz Bouteflika, le cui dimissioni sono state lette a Washington come un’opportunità. L’ultimo segretario alla Difesa Usa nel Paese era stato Donald Rumsfeld nel 2006. Ora “ci sono numerose aree in cui pianifichiamo di aumentare la nostra cooperazione, come nel contrasto al terrorismo”, ha detto Esper. “Vogliamo potenziare le esercitazioni e gli addestramenti congiunti”, ha aggiunto, spiegando che si sta discutendo delle coinvolgimento dei militari americani nel Paese. L’obiettivo è costruire una nuova alleanza, che guardi a sud, verso l’instabilità del Sahel, e a nord, vero le acque calde del Mediterraneo. Già la scorsa settimana, era stato il generale Stephen Townsend, comandante dello US Africa Command (AfriCom) a incontrare il presidente Tebboune, descrivendo l’Algeria come un “impegnato partner per la lotta al terrorismo”.

IL NUOVO CONFRONTO TRA POTENZE

Eppure, alla fine del 2019, poco dopo l’annuncio sul ritiro di militari Usa dalla Siria, emersero indiscrezioni su un piano del Pentagono per ridurre l’impegno in Africa rispetto ai circa settemila militari presenti, impegnati per lo più nel contrasto al terrorismo internazionale. Un’intenzione confermata lo scorso gennaio dallo stesso Esper, nell’ambito di una “revisione complessiva” degli impegni all’estero per riorganizzare la postura nel confronto a tutto tondo con Russia e Cina, tra l’altro certificato dai numerosi documenti strategici dell’amministrazione Trump. Ad opporsi al piano proprio il generale Townsend, da poco più di un anno alla guida di AfriCom, argomentando l’opposizione proprio con il nuovo confronto tra potenze. Il generale ha d’altra parte evidenziato da subito le mire africane di Russia e Cina, fatte di intese militari e commerciali.

LA COMPETIZIONE STRATEGICA

Le parole di Townsend sembrano aver convinto Esper, almeno stando alle parole pronunciate ieri in Tunisia: “Oggi, i nostri competitor strategici Cina e Russia continuano a intimidire i loro vicini mentre estendono la loro influenza in tutto il mondo, compreso questo continente”. Non è detto che tale consapevolezza si tradurrà in un passo indietro rispetto alla riduzione della presenza militare americana. Anche perché il coinvolgimento dei partner locali e il rafforzamento delle intese con i Paesi nord africani ha tra gli obiettivi anche l’idea di alleggerire le responsabilità americane.

CINA E RUSSIA IN AFRICA

Certo, la priorità è scalzare Cina e Russia dai legami con il nord-Africa. A preoccupare è soprattutto l’influenza di Pechino, attestata anche in seno all’Alleanza Atlantica ormai un anno fa, quando il segretario generale Jens Stoltenberg notò che “è la Cina che si avvicina a noi: in Africa, nel Mediterraneo, nell’Artico e nel cyberspazio”. Da circa tre anni a Gibuti c’è una base militare cinese, a conferma di una postura che ha ormai sdoganato il ricorso all’hard power da parte del Dragone d’Oriente. Ne è esempio anche l’Algeria. Nel 2019, secondo l’autorevole istituto svedese Sipri, ha importato armi soprattutto da Russia (67%) e Cina (13%), rappresentando per entrambe la terza destinazione dell’export militare. Tra l’altro si tratta di numeri importanti, considerando l’Algeria è il sesto importatore d’armi al mondo, tanto che i suoi acquisti rappresentano il 79% di tutto l’import nord-africano (che a sua volta copre il 74% dell’import dell’intero continente).

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