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L’Unione europea e i suoi 27 Paesi membri rischiano di finire stritolati nella morsa delle grandi potenze, Stati Uniti e Cina, anche a causa dell’assenza di strumenti con cui rispondere alla “coercizione economica”. E questa vulnerabilità non fa altro che mettere a rischio la sovranità e l’apertura dell’Unione europea, storica fautrice della globalizzazione e di un sistema internazionale aperto e fondato su regole certe. L’European Council on Foreign Relations ha pubblicato un rapporto sulla difesa della sovranità economica europea che offre qualche risposta a questa sfida.

LA GLOBALIZZAZIONE A RISCHIO

“Né la Cina né l’America vogliono una guerra convenzionale, la loro arma più potente è manipolare l’architettura della globalizzazione”, scrive nella prefazione Mark Leonard, direttore del think tank. “Sia la Cina sia gli Stati Uniti stanno unendo la geoeconomia e la geopolitica”, continua: la prima tramite aiuti di Stato e indebolendo deliberatamente le istituzioni multilaterali; la seconda “politicizzando sempre più cose che una volta pensavamo beni pubblici globali” come il sistema finanziario statunitense, Swift, l’Organizzazione mondiale del commercio, Internet e il Fondo monetario internazionale. “Piuttosto che essere una barriera al conflitto, l’interdipendenza sarà sempre più utilizzata come arma”.

LA RISPOSTA EUROPEA

Dobbiamo “costruire la sovranità strategica europea e integrare meglio la politica economica e geopolitica”, scrive Leonard, invitando l’Unione europea a continuare a cercare un ordine aperto e basato su regole difendendo a ogni costo: “Come per il commercio, a volte il modo migliore per difendere quell’ordine è dissuadere altri dal minarlo”. Ecco perché serve una toolbox piena di attrezzi per difendere la sovranità economica europea. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo “gli europei dovranno superare alcune barriere nel nostro pensiero, nelle nostre capacità e nelle nostre istituzioni”. C’è la barriera intellettuale: “L’Ue deve imparare a pensare come una potenza geopolitica, definire i suoi obiettivi e agire strategicamente”. C’è la barriera istituzionale: “La costruzione della sovranità economica impone che l’Unione europea smetta di pensare e agire come un ‘potere frammentato’”. Infine, c’è la necessità di “sviluppare alcune capacità per far fronte a vulnerabilità specifiche”: pensiamo, per esempio, allo screening sugli investimenti o alla risposta alle sanzioni. Come fare? L’Ecfr indica dieci soluzioni, tra cui l’emissione di un euro digitale, l’istituzione di un ufficio per la resilienza dell’Unione europea, l’imposizione di sanzioni personali come reazione reciproca e la creazione di uno strumento di parità di condizioni, uno strumento di difesa collettiva e un’agenda commerciale “positiva”.

LA RIFORMA DEL WTO

Uno degli autori del rapporto, Jonathan Hackenbroich, capo della task force  per la difesa dell’Europa dalla coercizione economica del think tank, scrive: “La prima e privilegiata opzione dell’Europa è — e dovrebbe sempre essere — una forte relazione transatlantica e, più in generale, il multilateralismo. Quindi, l’Europa dovrebbe, per esempio, sforzarsi ancora di più per concordare una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio sulla falsariga della proposta avanzata dall’‘iniziativa trilaterale’ dei ministri del commercio di Giappone, Stati Uniti e Unione europea”.

IL DOCUMENTO DEL CNAS

Questa indicazione sul Wto si ritrova anche in un rapporto del Center for a New American Security e del German Marshall Fund intitolato Charting a Transatlantic Course to Address China. Questo documento, però, è molto più orientato all’approccio transatlantico rispetto a quello dell’European Council on Foreign Relations. Un elemento che non deve stupire, visto che l’assunto di partenza degli esperti dei due think tank statunitensi riguarda la Cina (e non la sfida commerciale tra Stati Uniti e Cina e il rischio per l’Unione europea): “La crescente competizione tra la Cina e le democrazie liberali determinerà il corso del 21° secolo”, si legge in apertura del rapporto. In cui c’è un chiaro messaggio ai membri del Congresso di Washington: “Poiché gli Stati membri dell’Unione europea sono responsabili dell’attuazione dell’agenda dell’Unione europea, i funzionari del governo degli Stati Uniti devono anche impegnarsi con le capitali europee per migliorare quella che finora è stata un’implementazione non uniforme” della relazione transatlantica.

E SE VINCESSE BIDEN?

A meno di due settimane alle elezioni presidenziali statunitensi, la lettura del rapporto del Center for a New American Security e del German Marshall Fund è utile anche perché primo autore è Julianne Smith, firma di Foreign Policy, adjunct senior fellow del Center for a New American Security e già vice consigliere per la sicurezza nazionale del vice presidente Joe Biden. In questo senso, due sono i passaggi più interessanti: nel rapporto si caldeggia l’opportunità di allargare il confronto sulla Cina per includere altre democrazie che la pensano allo stesso modo, come Taiwan, Giappone, Australia, India e Canada, “Paesi con una notevole esperienza nella gestione del Partito comunista cinese e nel contrastarne le tattiche”; inoltre, “perseguire un approccio transatlantico con la Cina non significa che l’Europa o gli Stati Uniti debbano perdere ogni impegno con la Cina”, per esempio su sfide condivise come il cambiamento climatico, la lotta alla pirateria, il controllo degli armamenti, la Corea del Nord e le attività per il mantenimento della pace.

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