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L’esito delle regionali e del referendum è un bicchiere più mezzo vuoto che mezzo pieno per il centrodestra. Al netto dei toni trionfalistici nei giorni precedenti le elezioni che pronosticavano un 4 a 2 pressoché sicuro per il centrodestra (con addirittura pronostici di 5 a 1 o 6 a 0), il pareggio è un risultato sottotono, in particolare per la sconfitta in due regioni che sembravano alla portata come Toscana e Puglia.

Partiamo dalle note positive. Aver conquistato le Marche, da sempre un feudo della sinistra, è un risultato storico; Francesco Acquaroli si è dimostrato un candidato non solo competitivo ma vincente portando il centrodestra oltre il 49%, una vittoria che dopo l’Umbria strappa al centrosinistra un’altra sua roccaforte.

C’è poi il trionfo di Luca Zaia in Veneto, un vero e proprio plebiscito che riconferma il governatore del Veneto testimoniando che, nei territori in cui c’è buon governo, si ottiene il consenso dei cittadini, lo stesso dicasi per la Liguria del governatore Giovanni Toti.

Ma Veniamo alle note dolenti. Se la sconfitta in Campania era preventivata, non ci si immaginava in queste proporzioni; il centrodestra si ferma al 18% e nessuno dei tre partiti della coalizione supera il 6%, non dimentichiamoci che la Campania è la terza regione italiana per numero di abitanti e ha un forte peso a livello nazionale.

C’è poi il caso della Toscana, giudicata contendibile con addirittura alcuni sondaggi che davano il centrodestra in vantaggio, e invece Giani ha staccato la Ceccardi di 8 punti percentuale.

Ma il risultato che dovrebbe indurre a maggiori riflessioni è quello pugliese dove con una sinistra spaccata in tre (Emiliano, Scalfarotto e M5S), il centrodestra è uscito sconfitto addirittura con uno scarto di oltre il 7%.

Analizzando le percentuali dei singoli partiti, ci accorgiamo – al netto della crescita di Fratelli d’Italia in tutte le regioni – che l’aumento dei consensi del partito di Giorgia Meloni non compensa il crollo della Lega al Sud Italia che impone al Carroccio una seria riflessione sulla selezione della classe dirigente nel mezzogiorno.

Se alle elezioni politiche traina il simbolo di partito e il leader, alle amministrative o alle regionali lo scenario cambia notevolmente e la scelta del candidato da un lato e la composizione delle liste dall’altro, diventa fondamentale.

Stiamo attenti inoltre a dare per assodata una vittoria del centrodestra alle prossime politiche, la sinistra ha dimostrato di essere viva e vegeta e una legge elettorale con il proporzionale basata su un’alleanza tra Pd e M5S, può creare problemi a Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Alla luce del risultato del referendum e di queste regionali, è quasi sicuro che prima del 2023 non si tornerà a votare, il centrodestra ha davanti a sé tre anni in cui poter costruire un percorso politico e strutturare una classe dirigente sui territori facendo tesoro delle note positive ma anche autocritica degli errori compiuti.

Sud, quella nota dolente a destra. L'analisi di Giubilei

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