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Da alcuni giorni il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, è in Vaticano, dove è stato ricevuto da papa Francesco nei giorni della preghiera per il Libano. Un viaggio non semplice il suo dal cuore incandescente del Mediterraneo orientale: si parte da Damasco alla volta dello scalo di Beirut, con le sommosse che sconvolgono il Libano, con posti di blocco e copertoni incendiati che accolgono in un Libano in preda alla crisi economica e politica e che quindi aggravano ed estendono le difficoltà che connotano qualsiasi trasporto attraverso la Siria. Poi c’è l’emergenza Covid che mette ulteriori bastoni tra le ruote, tanto da costringere al cambio d’automobile e guidatore al confine tra i due paesi. Fino allo scorso anno arrivare in Libano voleva dire lasciarsi alle spalle le angustie, oggi si deve avere l’idea che quel confine, sebbene sorvegliatissimo proprio per l’emergenza Covid, separi solo le attese e la speranza di uscirne.

Incontrandolo fortuitamente mentre passeggia per le strade di Borgo non sono certo gli  argomenti di cui discorrere con un uomo che rappresenta il papa a Damasco da prima del 2011 che mancherebbero; dall’imminente enciclica sulla fratellanza al documento di Abu Dhabi, alla situazione politica, sempre feroce, della Siria, alla guerra nell’estremo nord, a Idlib. Tutto questo ovviamente lo riguarda, il carattere determinato del nunzio cardinale non è certo cambiato, solo è evidente che mentre cammina per le stradine attigue a San Pietro si guardi attorno con in testa due immagini dalle quali non sa e forse non vuole separarsi: gli ospedali siriani e l’inverno alle porte, con quelle sue notti che nel deserto portano il termometro verso lo zero.

Da anni in Siria tanti ospedali non ci sono più, distrutti dai feroci bombardamenti che si susseguono dal 2015 e il cardinale Mario Zenari ha lavorato duro per riaprirne tre, i tre ospedali cattolici dove chiunque, cristiano o musulmano, può farsi curare. “Sono lì, per tutti, piccole gocce d’acqua pulita che riusciamo a versare in questo mare di necessità. Quanta gente ha bisogno, quanta gente oggi patisce i morsi della fame, e non può neanche farsi curare. La crisi libanese oggi rende tutto più difficile, e non solo perché allarga la fascia già ampia di popolazione bisognosa, ma anche perché riduce gli spazi di agibilità per gli operatori: ma i tre ospedali continuano a funzionare.”

Dunque nessuna pausa, bisogna soprattutto impegnarsi e riuscire. Certo, il mare dei bisogni è enorme, dopo la torrida estate già possiamo immaginare l’arrivo di un inverno come sempre gelido  e le stufette a kerosene potranno consentire di soddisfare solo le più elementari necessità di tepore. “Questa gente ha tanto sofferto, e continua a soffrire anche se la guerra, che non è finita, non ci fa più vivere con l’incubo dei mortai sulla testa”. Oggi la guerra è combattuta soprattutto su al nord, tra i milioni di profughi che si accalcano nella contesa provincia di Idlib, al confine con la Turchia. Ma di loro, dei disperati di Idlib, si è ricordato solo Bergoglio, fino agli ultimi giorni prima del lockdown. Poi è calato il silenzio, non solo sulla Siria, ovviamente anche su di loro.

Lo sapevano i siriani che prima o poi, più prima che poi, le attenzioni sarebbero andate altrove. Loro però non possono distrarsi, devono nutrirsi, e devono nutrire i loro figli. La povertà estrema oggi riguarda l’80% di loro. Nelle loro condizioni è difficile guardare avanti tra le tante le ferite sociali, l’urgenza di dare un futuro  ai bambini, che non vanno a scuola, non hanno insegnanti, compagni di giochi. Dunque lo sguardo del cardinal Zenari vedendo gli ospedali che si è riusciti a riaprire e l’inverno che arriva, tra lockdown e scarsità di ogni tipo, sa dirci che  è l’aspetto umanitario la grande priorità dell’oggi.

Non è che il cardinale non accetti di parlare di politica; lo fa, ma il suo sguardo torna rapidamente agli ospedali e all’inverno che arriva. “Non possiamo pensare di risolvere tutto con i nostri piccoli rivoli, servirebbe un fiume per fronteggiare i bisogni”. Ma per questo bisogna guardare avanti, alle persone, alla società, come ai tantissimi anziani, quasi abbandonati tra le odierne macerie. Servirebbe allora  un canale d’acqua, più di un fiume, per curare questa povera e martoriata Siria, cifre enormi che sono sulla bocca di tutti, da anni.  Lui ovviamente conviene, ma subito ribadisce  che  non è questo che può fermarci nel nostro piccolo fare. Quanti siriani ha visto felici di potersi curare negli ambienti puliti, educati, rispettosi, dei  tre ospedali cattolici. E’ una goccia? Sì, certo, sarà una goccia nel mare di bisogni, ma guai se venisse meno anche quella. Poi la politica cercherà le sue soluzioni, ma intanto è urgente prendersi cura di un popolo che non vorrebbe tanto, almeno il kerosene per le stufe, l’elettricità che invece arriva poche ore al giorno oggi con il calo torrido come domani, quando il freddo pungerà ognuno.

Il mondo si è dimenticato della Siria, ma soprattutto si ha l’impressione che non abbia voluto imparare nulla da quanto vi è accaduto, da questa interminabile scia di dolore segnato da due ambizioni eretiche che vorrebbero conquistare militarmente l’Islam, quella khomeinista e quella wahhabita. E allora ha ragione lui, certamente. Gli occhi del cardinal Zenari parlano per lui. Potessero dirci tutto quello che hanno visto, quanto avremmo da imparare. Lui spesso ha parlato delle rose del deserto, quelle rose che nonostante tutto ha visto nel deserto siriano. E forse, come ha promesso, un giorno ne scriverà. Ora però è ancora tempo di far entrare tutta l’acqua che si può nel deserto. Immaginati da qui quei tre ospedali non sono piccole cattedrali nel deserto, al contrario, sono le prove concrete, viventi, che davvero siamo tutti fratelli, anche, se non soprattutto, in  Siria. Se c’è una lezione che arriva dal cuore del Mediterraneo orientale è questa. Forse è per questo che il nunzio cardinale non si stanca di ripetere che la Siria è nel cuore del papa.

Siria, dopo le bombe la povertà. Lo sguardo fraterno del cardinal Zenari

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