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Molto rumore per nulla? Sulla proroga dei vertici dell’intelligence inserita nel Decreto agosto dal governo giallorosso si è fatto un polverone che, forse, si poteva evitare. Due premesse. La prima: è triste spettacolo veder trascinare la sicurezza nazionale nel tritacarne della bagarre politica. La seconda: è giusto e doveroso discutere dell’opportunità di trattare una materia così sensibile dentro un decreto che nulla c’entra, e di apporvi la questione di fiducia per bloccare un emendamento presentato da un partito di maggioranza (il Movimento Cinque Stelle).

Nel merito, però, la polemica sulla “norma ad personam” di Giuseppe Conte richiede un chiarimento. Siamo davvero di fronte a un rinnovo fuori-norma? Il premier ha mancato di trasparenza verso i suoi interlocutori istituzionali, su tutti il Copasir?

Per rispondere bisogna riprendere in mano il testo della più grande riforma del comparto di intelligence degli ultimi vent’anni: la legge 124 del 2007. Tre articoli, il 4, il 6 e il 7, spiegano in modo inequivocabile come e quando possono essere rinnovati i vertici delle tre agenzie, il Dis, l’Aisi e l’Aise.

La forma utilizzata è la stessa. Nomina e revoca dei direttori “spettano in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, ndr)”. E l’incarico ha in ogni caso “la durata massima di quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta” (art. 4, comma 5).

Qui nasce il primo problema. Perché due sono le interpretazioni date in dottrina. La prima, prevalente: l’incarico dei direttori dura al massimo quattro anni, e può essere prorogato una volta sola, dunque può durare al massimo 8 anni. La seconda, tornata alla ribalta sulla stampa in queste settimane, sostiene invece che in tutto la durata in carica di un direttore può spingersi fino a 4 anni. E che la proroga debba rientrare all’interno di quell’arco temporale, rinnovando l’incarico di un anno, di due, di tre. Va ricordato che, se quest’ultima è un’interpretazione finalistica della norma, la prima è la più fedele alla lettera della legge 124.

Si è detto: la durata in carica massima è di quattro anni, perché in passato i vertici sono restati in carica per due mandati di due anni ciascuno, con una sola proroga. Ma qui si entra nel campo della convenzione, che poco ha a che vedere con l’interpretazione letterale della legge.

Si è detto anche che la nuova norma deroga alla legge 124 perché, di fatto, ammette la possibilità di una seconda proroga, e questo è vero. Non è un mistero che l’intervento del governo sul rinnovo dei direttori dell’intelligence nasca da un caso specifico: l’incarico in scadenza del direttore dell’Aisi Mario Parente. Nominato il 29 aprile del 2016 dall’allora premier Matteo Renzi, il capo dei Servizi interni ha già ricevuto una proroga biennale. Il suo mandato sarebbe scaduto il 15 giugno, nel bel mezzo dell’emergenza Covid-19.

Due erano le opzioni in mano a Palazzo Chigi. Il premier poteva sostituirlo con un nuovo direttore, oppure rinnovare l’incarico di altri 4 anni (allungando il mandato di Parente a 8 anni). Su parere (obbligatorio) del Cisr, e con l’approvazione del Quirinale, si è scelta una via intermedia: una proroga “tecnica” di un anno, inserita nella norma del Decreto agosto.

Dopo un confronto con il Colle, Conte ha ritenuto di non procedere a un cambio al vertice dell’Aisi in un momento così delicato. Intelligence economica, sommosse sociali al Sud, rigoglio della criminalità organizzata, tanti i dossier urgenti sul tavolo dell’agenzia (segnalati in questi mesi anche dal Copasir) che un nuovo direttore, da un giorno all’altro, avrebbe dovuto gestire.

Insomma, la deroga c’è, ma è più di forma che di sostanza. Perché il mandato di Parente si concluderà dopo cinque anni complessivi. E dunque non sforerà gli 8 anni che, secondo un’interpretazione testuale della 124, costituiscono il tetto massimo per i direttori delle agenzie. Senza contare, e questo è un aspetto finito in sordina nel polverone mediatico, che la direzione di Dis, Aisi e Aise è un incarico fiduciario. Fanno capo all’autorità politica, il presidente del Consiglio, che ha facoltà di revocarli anche prima della scadenza. Un rapporto di fiducia che, nel caso di Conte, si fa ancora più stretto vista l’assenza, oggi, di un’autorità delegata per l’intelligence.

Rimane a questo punto un ultimo dubbio. Il premier ha mancato di trasparenza? Ne è convinta buona parte del Copasir, il comitato di Palazzo San Macuto presieduto dal leghista Raffaele Volpi che a più riprese in questi mesi ha manifestato irritazione per esser stato lasciato ai margini delle scelte di Conte.

Ancora una volta, conviene riprendere in mano il testo della legge 124. Articolo 32, comma 2: “Il Presidente del Consiglio dei ministri informa preventivamente il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica circa le nomine del direttore generale e dei vice direttori generali del Dis e dei direttori e dei vice direttori dei servizi di informazione per la sicurezza”. Non c’è in effetti un riferimento alle “proroghe” dei direttori, cioè il caso in questione, ma solo alle “nomine”.

In conclusione, se è vero che la trasparenza non è mai troppa (e il Copasir fa bene a ricordarlo), è altresì vero che, leggi alla mano, non c’è stato, come qualcuno sostiene, un vero e proprio strappo al cuore della normativa che regola l’intelligence italiana. Conte potrà e dovrà spiegare in pubblico il senso della scelta presa, magari il prossimo 30 settembre, quando sarà chiamato a esporre i risultati della relazione semestrale dei Servizi. Fino a quel momento, meglio tenere al riparo chi si occupa della nostra sicurezza dalla baruffa politica.

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