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L’economia sarà ancora centrale nell’agenda politica globale, e il piano NextGenerationEu sarà il punto di partenza per la costruzione dell’Europa nel nuovo sistema globale. Le risorse assegnate all’Italia per lo sviluppo delle infrastrutture e la crescita della digitalizzazione ammontano a 76,4 miliardi, pari ad un terzo delle risorse complessive.

Il 5G, la banda larga e i microprocessori sono le tecnologie su cui il governo vuole investire in modo prioritario. Gli ambiti di intervento principali previsti per l’area della digitalizzazione sono la PA, il miglioramento della competitività delle imprese e la Transizione 4.0.
Il capitolo degli interventi sulle infrastrutture include il potenziamento della rete ferroviaria, con l’obiettivo di portare l’Alta Velocità nel Sud Italia, e la messa in sicurezza delle infrastrutture a rischio. Fondamentale, poi, puntare sull’intermodalità tra le aree di interesse economico, in particolare porti e ferrovie, senza la quale anche le tanto decantate Zone Economiche Speciali (chiedere al ministro Provenzano) produrranno effetti risibili in termini di attrazione di investimenti.

A ben guardare anche il tema della sostenibilità ambientale, che potrà beneficiare di 74,3 miliardi, e nel quale rientra anche la gestione dei rifiuti per colmare il gap impiantistico a livello regionale, avrà a che fare con la realizzazione di interventi che dovranno agevolare lo smaltimento e la crescita della produzione di energia rinnovabile e dell’uso di idrogeno. Le smart-grid saranno poi il motore della mobilità.
Due anni fa, alla vigilia dell’ingresso di Cdp in Telecom, con il presidente nazionale di Confassociazioni, Angelo Deiana, su Il Foglio abbiamo chiesto l’istituzione di un ministero per la Digitalizzazione proprio sull’esempio della Germania e della Francia, le cui Casse Depositi investono da anni nelle infrastrutture digitali.

La Grosse Koalition di Angela Merkel aveva appena istituito un Ministero per gli Affari Digitali, attribuendogli tutti i poteri per gestire e coordinare le risorse previste nel Piano nazionale della digitalizzazione con cui il governo tedesco prevedeva di attrarre investimenti pubblici e privati per 100 miliardi, con l’obiettivo di trasformare la Germania in una Gigabit society entro il 2025.

La nostra proposta voleva stimolare un percorso strutturato che avviasse anche in Italia la costruzione di un ecosistema positivo e dinamico di relazioni ed interconnessioni, attraverso un nuovo piano di sviluppo delle grandi opere infrastrutturali digitali con il relativo contributo degli eventuali concessionari. In questi mesi tutti abbiamo capito che la digital trasformation sta impattando a livello globale assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali. Le infrastrutture materiali e digitali, come è stato del resto riaffermato anche nel NextGenerationEU, giocano un ruolo decisivo per programmare la ripartenza del nostro Paese.

Nel prossimo decennio, infatti, gli investimenti in infrastrutture conosceranno nel mondo un dinamismo senza precedenti, sostenuto soprattutto dalla Cina. Sarà dunque fondamentale anche in Europa e in Italia ricominciare a investire, perché la competitività del mondo globale passerà sempre di più dalla capacità sviluppare le infrastrutture fisiche/digitali, velocizzando anche i processi amministrativi delle agevolazioni fiscali, dello snellimento dell’iter autorizzativo e della individuazione di partner economici qualificati.

Le infrastrutture svolgono un ruolo fondamentale per sostenere la mobilità dei cittadini e delle merci, sia a livello nazionale che europeo, in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell’ambiente, e sono essenziali per l’ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita in moltissimi ambiti, come ci ha ricordato alcuni mesi nella sua relazione il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.
Un fattore più degli altri, però, sarà decisivo per colmare il gap infrastrutturale dei territori italiani: la responsabilità e l’autorevolezza della politica.

Il governo, ma soprattutto le Regioni, i Comuni e gli enti locali devono avere la capacità di investire culturalmente sulle opere, intervenendo sul dialogo con le comunità, e imparando a comunicare ai territori il valore strategico delle infrastrutture. Se non si riuscirà nella delicata operazione di detonare questa esasperata conflittualità che da quasi trenta anni caratterizza in tutti i territori italiani il rapporto tra la conservazione dell’ambiente e la realizzazione di nuovi investimenti (Tav e Tap sono solo gli esempi più eclatanti di centinaia di contestazioni sui territori e della cultura antindustriale che attraversa il Paese da Nord a Sud), l’Italia rischia di vanificare l’ultima grande buona occasione che viene dall’Europa.

Troppe volte abbiamo assistito negli ultimi anni ad opere ritenute strategiche dal MISE che sui territori si sono scontrate puntualmente con l’opposizione di comitati o movimenti sostenuti dagli amministratori locali, determinando contenziosi, ritardi e tensioni che non possono più essere ammessi. Oggi il 13,9% dei Comuni italiani ha affermato la propria contrarietà al 5G, e la gran parte di questi sono propri quei borghi che la retorica della rivincita del piccolo e del southworking vorrebbe invece farci credere che di colpo sono diventati i luoghi più belli del mondo, dove si può fare impresa e ci si può trasferire per lavorare e vivere (senza servizi e infrastrutture spiegatemi come).

La globalizzazione post Covid-19 promuoverà le filiere industriali di prossimità solo se saranno in grado di maturare e favorire servizi efficienti. E le infrastrutture, anche nella nuova logistica integrata che avrà nel Mediterraneo come ha ricordato anche di recente il presidente Mattarella uno snodo essenziale nei traffici commerciali marittimi dopo il raddoppio del Canale di Suez, sono il principale strumento di sviluppo e crescita.

A patto che questa volta Centro e Periferia provino a ragionare all’unisono, abbandonando per sempre l’ideologia del no e della decrescita, e offrendo al Paese quella visione nel futuro di cui tutti abbiamo bisogno.

Digitale, ferrovie, porti. Le infrastrutture (finalmente) strategiche con il Recovery Plan

Nel prossimo decennio gli investimenti in infrastrutture conosceranno nel mondo un dinamismo senza precedenti. Sarà dunque fondamentale anche in Europa e in Italia ricominciare a investire, senza che Roma vanifichi quanto di buono indicato e detto da Bruxelles. Il commento di Stefano Cianciotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni  

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