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Ursula von der Leyen ha varato la sua Commissione nonostante le convulsioni politiche che ne hanno accompagnato la formazione. Il nuovo collegio della Ue appare caratterizzato da un rafforzamento del ruolo della presidenza. In effetti von der Leyen non avrà di fronte personaggi ingombranti come la danese Vestager e l’olandese Timmermans che avevano fatto ombra alla sua leadership o come Breton che ne contestava neppure tanto velatamente l’approccio accentratore e la mancanza di collegialità.

Dal punto di vista politico la nuova Commissione registra una maggioranza di centro-destra, anche se bisogna considerare che quattro delle sei presidenze esecutive di peso vanno a due commissari socialisti( la spagnola Ribeira e la rumena Minzatu) e a due liberali di Renew Europe ( il francese Séjourné e la estone Kallas). Quattordici sono i commissari del Partito popolare europeo (Ppe); cinque liberali di Renew Europe (Re); cinque della famiglia socialista (S&D); due dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) e uno dei Patrioti d’Europa (PdE).

La distribuzione degli incarichi appare equilibrata nella assegnazione delle vice presidenze esecutive ispirate non solo ai criteri del peso dei Paesi membri e delle famiglie politiche, ma anche alla ripartizione su base geografica( nord/sud est/ovest) e di paesi grandi e piccoli. Quanto al peso dei portafogli andrà valutato anche alla luce delle direzioni generali che saranno aggiudicate ai singoli commissari. Sicuramente appaiono di tutto rilievo le competenze attribuite alla spagnola Ribeira (transizione verde e concorrenza) al francese Séjourné (mercato interno e strategia industriale ), al lettone Dombrovskys considerato un falco (economia) e all’Italiano Fitto (Coesione e riforme).

Sono una novità il Commissario per il Mediterraneo (la croata Suica) e quello per la difesa (il lituano Kubilius), la cui consistenza andrà valutata alla luce delle disponibilità finanziarie e di personale loro assegnate. Per quanto riguarda l’Italia ,Raffaele Fitto pur non avendo ottenuto nel suo cluster l’economia, avrà la gestione dei Fondi di coesione e le riforme (non quelle istituzionali che rimangono una prerogativa della presidente, ma quelle sul funzionamento dei fondi strutturali ) mentre dovrà condividere il controllo sull’attuazione del Pnrr con Dombroskys. Da considerare tuttavia che il portafoglio attribuito a Fitto è quello che deteneva la portoghese Ferreira. Si tratta di un portafoglio dove i fondi sono al 90% pre-allocati e lasciano poco margine di manovra al Commissario.

In ogni caso l’attribuzione della vice presidenza esecutiva rappresenta un riconoscimento per il ruolo dell’Italia e del governo Meloni. da rilevare che contrariamente a quanto si sostiene non è la prima volta che l’Italia ha una Vice presidenza di peso. Sono stati Vice presidenti , per fare qualche esempio, Mogherini, Tajani, Frattini, per non parlare di Natali quando l’Italia come gli altri grandi Paesi aveva due commissari nell’Europa a 15. Nonostante i mugugni politici che l’hanno accompagnata, la nomina di Fitto potrebbe rivelarsi nell’ottica di von der Leyen una buona mossa in quanto potrebbe spingere l’ECR nell’orbita europeista allontanandola dai gruppi sovranisti di estrema destra.

Socialisti, liberali e verdi dovrebbero avere tutto l’interesse a dare il loro voto favorevole ,facendo esplodere le contraddizioni esistenti in Ecr suscettibili di accelerare il processo scissionista minacciato dai rappresentanti di partiti antieuropeisti come il Pis polacco ,che potrebbe seguire l’esempio del partito di Orban, Fidesz e confluire nel gruppo dei “Patrioti europei”. Indubbiamente competenze e vice presidenza esecutiva attribuita a Fitto rappresentano una vittoria politica per Giorgia Meloni che raggiunge l’obbiettivo nonostante il voto contrario espresso in Consiglio europeo e in Parlamento, ma allo stesso tempo la costringe a sciogliere il nodo della collocazione di Ecr nel panorama parlamentare. Peraltro la presidenza Meloni del gruppo sarà avvicendata dal polacco Morawiescki che dovrebbe essere designato a succederle al Congresso Ecr previsto in novembre.

Adesso la parola è al Parlamento. I commissari nominati sono sottoposti a un attento esame da parte delle Commissioni parlamentari che votando a scrutinio danno la loro approvazione a maggioranza di 2/3. Una volta terminate le audizioni parlamentari, la Commissione si presenterà al Pe per il voto definitivo, a maggioranza semplice, in dicembre per entrare in funzione effettiva a partire del gennaio 2025 praticamente in coincidenza con la nuova Amministrazione americana che inevitabilmente ne influenzerà scelte politiche e governance.

Per quanto riguarda il programma della nuova commissione, che conosceremo compiutamente a dicembre al momento del voto di approvazione del Parlamento Europeo molti dei contenuti dei due Rapporti commissionati dell’esecutivo europeo (quello di Mario Draghi sulla competitività europea e quello di Enrico Letta sul futuro del mercato unico) sono confluiti nelle linee guida politiche esposte dalla presidente von der Leyen per i prossimi cinque anni, nonché nelle lettere di incarico ai nuovi commissari.

La ricerca e l’innovazione devono essere al cuore degli sforzi per rimettere in carreggiata l’economia europea, perché sono il volano della competitività”. Lo stesso discorso vale per la questione energetica, così come per la Difesa. Quanto alle modalità concrete di sostenere finanziamenti comuni e alla possibilità di emettere nuovo debito comune, la presidente eletta della Commissione ha sostenuto che “se definiamo priorità comuni, vanno finanziate attraverso soldi europei”, ma senza spingersi oltre le due alternative già citate, contributi nazionali e risorse proprie. Su quest’ultimo punto, ha sottolineato che dev’esserci la “volontà politica degli Stati membri” per procedere con finanziamenti comuni.

Gli sforzi per aumentare la competitività dell’Unione devono andare in parallelo al mantenimento dell’economia sociale di mercato tipica della tradizione europea, in cui vanno mantenuti il benessere e la prosperità per tutti. Il programma di von der Leyen risente tuttavia dello spostamento verso destra del quadro politico europeo, soprattutto in Germania e Francia. Lo si vede nella frenata sulla transizione energetica, dove il passaggio all’elettrico nel 2035 verrà flessibilizzato in ragione delle gravi ripercussioni nel settore automobolistico e del mercato del lavoro, particolarmente a rischio in Germania, Francia, Italia. Altrettanto vale per il dibattito sull’immigrazione, che si è alquanto irrigidito come dimostrano gli ultimi sviluppi in Germania, per cui affidare il delicato portafoglio a un membro del Partito popolare europeo, nella fattispecie il Commissario austriaco mette la Commissione in maggiore sintonia con il Parlamento e, soprattutto, con il Consiglio.

Non trova posto nel programma annunciato da von der Leyen (vedremo come sarà quello che presenterà al momento del voto al Parlamento europeo a dicembre) il problema delle riforme istituzionali. In realtà né in questa Commissione, né nel Consiglio, né nel Parlamento c’è una maggioranza convinta per procedere alle riforme necessarie di una Unione a 27 e che si è impegnato a accogliere 9 nuovi membri (i 6 Paesi Balcanici già da lungo candidati più Ucraina, Moldavia e Georgia).

Anzi si potrebbe dire che per molti aspetti delle riforme da introdurre c’è una maggioranza contraria a partire dal superamento del diritto di veto con l’introduzione del voto generalizzato a maggioranza qualificata nei settori più sensibili: politica fiscale, ambiente, energia, industria per non parlare di difesa e politica estera e sicurezza comune ove vige rigidamente il principio dell’unanimità.

D’altra parte von der Leyen è costretta a tenere conto dello spirito dei tempi(quello che i tedeschi chiamano Zeitgeist) che vede in molti Paesi avanzare la destra estrema antieuropeista xenofoba e nazionalista. Von der Leyen dovrà tener conto di queste realtà, ma non potrà spingere il suo programma troppo a destra perché ciò potrebbe provocare la reazione contraria della maggioranza che la sostiene, che non vede di buon occhio le aperture soprattutto verso il Partito dei patrioti.

Il problema delle riforme istituzionali per consentire un più rapido ed efficace processo decisionale potrebbe inoltre costituire il discrimine delle forze politiche in Parlamento dove i partiti tradizionalmente europeisti potrebbe costituire un blocco per sollecitare il cammino verso una maggiore integrazione e cessione di sovranità. Una proposta ricorrente che viene spesso avanzata dai partiti più europeisti è quella che il Parlamento europeo si proclami assemblea costituente e come fece a suo tempo con l’iniziativa di Spinelli produca la proposta di un nuovo trattato.

Purtroppo però l’anelito verso una maggiore integrazione è attenuato da un Partito popolare diviso e incerto in attesa delle elezioni tedesche il prossimo anno. Non c’è quindi da farsi grandi illusioni e come proposto da Draghi si dovrà procedere con i mezzi di bordo utilizzando i margini di riforma offerti dall’attuale Trattato.

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