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“Apriremo il parlamento come una scatola di tonno” è questo lo slogan e la linea data a suo tempo da Beppe Grillo ai nuovi parlamentari grillini, chiaramente imbevuta di antiparlamentarismo, che faceva da pendant all’altra formula su cui si reggeva il nuovo grillismo, del “1 vale 1”.

Questa attitudine antiparlamentare, accanto all’impronta populista e alla faticosa ricerca di vie di democrazia diretta, non è venuta meno tra i 5stelle, anche una volta divenuti forza di governo. Ed è all’origine anche della stessa legge che riduce con un taglio orizzontale e draconiano da 945 a 600 il numero dei parlamentari. Ma in qualche modo i grillini seguono i loro indirizzi ideologici, il problema è di tutti gli altri che gli sono andati dietro. Le forze dell’opposizione populista, che per demagogia e per vellicare gli istinti peggiori del loro elettorato l’hanno votata anche se oggi stanno facendo una campagna molto flebile per il sì, ma soprattutto il Pd. Come tutti sanno il Pd per tre votazioni successive aveva votato contro la legge e al quarto voto per accedere all’accordo di governo con i 5stelle si è pronunciato per il sì, per salvare la faccia a ponendo la condizione di certi contrappesi istituzionali, a cominciare da una seria modifica ai regolamenti parlamentari e da una riforma della legge elettorale.
Ebbene, non si intravede nessuno di questi contrappesi istituzionali  ma ciò nonostante  la direzione del Pd a larghissima maggioranza si è pronunciata per il sì al referendum, a parte qualche voce più o meno autorevole che ha detto un più o meno flebile no.

Il fatto è che a questo punto se vincesse il sì, come abbastanza  probabile, gli unici veri vincitori sarebbero i 5stelle per un verso e per l’altro verso il voto assumerebbe una certa carica di antiparlamentarismo in un momento in cui non ce n’è proprio bisogno. Vuoi perché  il parlamento ha un ruolo centrale e cruciale nel nostro assetto costituzionale, vuoi perché, specie negli ultimi anni, il suo ruolo è già stato sufficientemente debilitato e ci sarebbe bisogno semmai di un ripristino della centralità e dell’autorevolezza del Parlamento.

Pochi dati possono aiutarci ad evidenziare come il peso e il ruolo del Parlamento sia stato ampiamente surclassato negli ultimi anni da quello del governo, in modo tale che, quella che dovrebbe essere la casa comune dei cittadini non ha potuto esercitare in larga parte il suo ruolo. Dall’inizio dell’ultima legislatura sono stati emanati 59 decreti legge mentre le leggi ordinarie arrivate al traguardo, al netto di quelle di ratifica dei trattati internazionali e di quelle in qualche modo obbligate come le manovre di bilancio sono state appena 25. Ma questo non basta perché, se mettiamo insieme decreti legge e leggi ordinarie una volta su cinque si è arrivati al traguardo solo grazie al voto di fiducia posto dal governo e 1 volta su 10 mettendo la fiducia sia alla Camera sia al Senato. C’è stato poi il tanto discusso fenomeno favorito dal Covid-19 dei decreti del presidente del Consiglio dei Ministri adottati al di fuori di qualsiasi tipo di controllo da parte del parlamento, vari dei quali avrebbero potuto tranquillamente essere assunti come decreti legge e come tali essere esaminati e votati dal Parlamento.

In sintesi, davanti ad un referendum presentato dai 5stelle soprattutto come un risparmio nei costi della politica, che finisce per alimentare l’antipolitica e l’antiparlamentarismo, occorre fare una riflessione attenta perché in una sana democrazia la vera casa comune dei cittadini e l’organo cruciale e centrale è il Parlamento. E inoltre, sulla base del taglio sottoposto al referendum, varie arie del territorio del paese non sarebbero più in esso rappresentate.

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