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Con un comunicato diffuso ieri sera dall’ambasciata in Libia (che opera da Tunisi) gli Stati Uniti ribadiscono il proprio “sostegno a un modello finanziario che fornisca garanzie credibili affinché i proventi del petrolio e del gas siano gestiti in modo trasparente e preservati a beneficio del popolo libico”. È un coinvolgimento diretto nell’aspetto più delicato del dossier: la ripresa delle produzioni petrolifere, infatti, è considerato un passaggio centrale. Il petrolio dovrebbe garantire la possibilità di far tornare soldi nel paese e rimpolpare il tentativo negoziale attualmente in corso.

L’ambasciata americana parla di un “consenso tra libici sul fatto che sia ora di riaprire il settore energetico”, e sottolinea la necessità che “tutti i libici abbiano la certezza che le entrate non vengano sottratte indebitamente”. Il punto sostanziale è infatti la re-distribuzioni delle entrate: come procedere affinché tutte le anime regionalizzate del paese ne possa godere e non si creino tensioni frutto di una divisione iniqua dei proventi. La riapertura dei pozzi, aggiunge la nota, permetterà “il completo ritiro del personale militare straniero” nonché un “accordo per la riforma delle Guardie petrolifere” per evitare che le risorse energetiche finiscano “preda di alcuni gruppi armati”.

Altro aspetto chiave: i pozzi sono controllati da una milizia che opera ad hoc e che più volte nel corso dei vari conflitti Est-Ovest ha cambiato casacca. Inoltre, i ribelli della Cirenaica hanno sfruttato connessioni territoriali e il momentaneo allineamento con la milizia petrolifera per occupare alcuni campi pozzi – dove sono entrati anche contractor russi del Wagner Group, una società privata che il Cremlino avrebbe inviato per assistere le ambizioni dei ribelli.

Nonostante sia assodato che la riapertura delle produzioni (e delle entrate connesse) sia uno step fondamentale, e sebbene si sia più volte raggiunto accordi parziali negli ultimi mesi, la maggior parte dei pozzi e dei terminal di esportazione di petrolio e gas rimane chiusa. Le conseguenze finanziarie sono molto gravi (qualcosa come 10 miliardi di dollari persi per il Paese) e le ripercussioni sul settore della generazione di elettricità sono gravi, tanto che la Tripolitania e la Cirenaica soffrono di frequenti blackout – frutto di esasperazione tra la popolazione, che ha messo in piazza proteste e manifestazioni in entrambe le regioni (ieri sera la sede del non riconosciuto governo regionale della Cirenaica è stata data alle fiamme dai cittadini).

Della necessità del riavvio del business petrolifero aveva parlato apertamente su queste colonne il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, durante un’intervista dei giorni scorsi. Come fa notare Agenzia Nova, produzione petrolifera in Libia, paese membro dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) e prima nazione in Africa per riserve stimate, è crollata da 1,2 milioni di barili al giorno di inizio 2020 agli attuali 100 mila barili circa, in conseguenza del blocco attuato da Haftar in nome di una più equa distribuzione dei proventi degli idrocarburi tra le regioni della Libia.

Libia, perché per gli Usa il petrolio è cruciale verso la stabilizzazione

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