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Dopo una rigida opposizione, la Francia ritorna sui suoi passi ed è pronta a supportare l’uso dei fondi destinati alla Difesa europea anche a società di Paesi extra-Ue, come Israele, Turchia, Regno Unito e, soprattutto, Stati Uniti. Il cambio di passo dei transalpini arriva da Bruxelles, da dove, riporta il Financial Times, i diplomatici di Parigi avrebbero aperto a una previsione per usare il 35% del budget allocato dall’Unione in prodotti sviluppati anche al di fuori dei 27.

Una retromarcia atipica per Parigi, che ha fatto della difesa del Made in Europe una vera e propria bandiera. Questa apertura permetterebbe, quindi, di aprire in particolare i finanziamenti nell’ambito dell’European defence investment plan (Edip) anche ad aziende non-Ue. L’European defence industrial programme, Edip, è un insieme di strumenti, finanziari, legali e di cooperazione, che materialmente dovranno aiutare i Paesi membri a aumentare il proprio livello di cooperazione in materia di procurement militare proposto dalla Commissione europea a marzo. L’Edip mobiliterà un miliardo e mezzo di euro del bilancio dell’Ue nel periodo 2025-2027.

Alla base del ripensamento ci sarebbe la percezione da parte della Francia della difficoltà di trattare con il nuovo inquilino della Casa bianca, Donald Trump, da sempre esplicito nel minacciare il Vecchio continente di ridurre il supporto Usa di fronte alla mancata presa d’impegno da parte degli Stati europei di assumersi maggiori responsabilità nella propria difesa. Chiudere il mercato europeo alle società a stelle e strisce potrebbe non essere l’atteggiamento adatto per far partire un colloquio, già di per sé complesso, con il tycoon.

Ma gli Stati Uniti non saranno i soli beneficiari di questa apertura. L’Italia ha da sempre spinto per giungere a una posizione del genere, citando in particolare i legami con il Regno Unito per diversi programmi, primo fra tutti quello sul caccia di sesta generazione Gcap. Escludere un attore importante come Londra, membro Nato e Paese nucleare, dalla Difesa europea è sempre stato visto da Roma (e non solo) come controproducente. La stessa Svezia, da poco entrata nella Nato, ha importanti legami con l’industria britannica. Escluderla avrebbe comportato una pressione sulla propria industria, dipendente dalle forniture dal Regno Unito.

La mediazione è stata trovata dalla presidenza ungherese di turno dell’Unione, grazie agli sforzi congiunti di Spagna, Italia e Germania, oltre che l’interlocuzione con la Franca. I nomi di questi Paesi non sono casuali. Sono gli stessi che la settimana scorsa si sono incontrati a Varsavia per fare il punto sul ruolo europeo all’interno della difesa transatlantica, anche alla luce dell’arrivo di Donald Trump alla Casa bianca. Un vertice che ha visto, non a caso, la presenza fondamentale di Londa. In quella occasione, i Paesi hanno promesso di rafforzare la sicurezza e la difesa del continente “utilizzando tutte le leve a disposizione, compreso il potere economico e finanziario dell’Ue”.

L’apertura importante, e se confermata anche più concreta, arriva però dalla possibilità di ampliare il bilancio europeo anche con l’emissione di nuovo debito comune, attraverso gli Eurobond, utilizzabili anche per finanziare la Difesa. Come registrato nell’occasione dal ministro polacco Radoslaw Sikorski “è la prima volta che i cinque maggiori Paesi dell’Ue parlano di obbligazioni europee per la Difesa. È una cosa seria”.

Un’idea da tempo sostenuta dal governo italiano, confermata a Varsavia dallo stesso ministro Antonio Tajani. Il tema è delicato in Germania, tradizionalmente contraria alla crescita del debito e con il cancellierato alle prese con nuove elezioni. Adesso partiranno le negoziazioni, e il piano è presentare un piano dettagliato all’Europarlamento nei primi mesi del 2025. La proposta dovrà contenere anche quali Paesi saranno esclusi da questa apertura, perché ritenuti contrari ai principi fondanti e di sicurezza dell’Ue.

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