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Il Paese si muove su un crinale, e il crinale si chiama Europa. Sergio Fabbrini, politologo, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli, spiega a Formiche.net come l’unica vera frattura che attraversa la politica italiana, governo incluso, sia quella europea. Dalla partita per i fondi Ue all’elezione del prossimo Capo dello Stato, ecco come e perché rischia di trasformarsi in un burrone.

Professore, presto per cantare vittoria?

Diciamo che l’Italia è riuscita a fare il primo passo: pagare a John Maynard Keynes il biglietto per Bruxelles. Insieme a Spagna, Francia e perfino alla Germania ha convinto gli altri Stati membri che, a fronte di una crisi economica e sociale tanto drammatica, la politica economica dell’Ue deve essere di incremento della domanda, di investimenti, di sostegno alle aree più colpite dalla disoccupazione.

Chi ha fatto da ago della bilancia?

È stato decisivo il ruolo della Francia, e in particolare di due commissari, Thierry Breton e Paolo Gentiloni, che dall’interno della Commissione hanno spinto la presidente Ursula von der Leyen su posizioni prima inesplorate e hanno fatto da alter-ego al rigorismo di Dombronski. Insomma, hanno liberato la Commissione dall’immagine di organizzazione austera dedita al solo controllo dei conti. In questo processo va riconosciuto al premier Conte di aver smosso le acque, spingendo affinché ai prestiti fossero affiancate le sovvenzioni e i trasferimenti a fondo perduto.

Qual è il prossimo passo?

Keynes è arrivato a Bruxelles, ora deve restarci. I fondi ci sono, non sono enormi ma è un inizio. Paesi come Italia e Spagna, se vogliono usarli, devono avere progetti precisi, coerenti con le direttive della Commissione. Se ci fosse una seconda crisi pandemica fra sei mesi, saremmo pronti? Il nostro sistema sanitario reggerebbe l’urto?

Qui entra in campo il Mes. Serve o no all’Italia?

L’Italia non può permettersi un no. Per come è strutturato ora, non vedo controindicazioni, né Troike in arrivo, non utilizzare questi fondi è da irresponsabili. Il problema è come utilizzarli. Possibile che il governo non dica una parola?

L’ha detta, agli Stati generali…

In teoria. In pratica si sono rivelati una vetrina mass-mediologica, senza produrre un programma da discutere in Parlamento. Un programma concordato. Qui forse c’è la mancanza più grave: se si parla di riforme, digitalizzazione, infrastrutture, risparmio energetico, bisogna farlo anche con le opposizioni. Altrimenti, una volta che vanno al governo, tutti questi programmi strutturali rischiano di essere smontati da un giorno all’altro.

Fabbrini, Pd e Cinque Stelle vivono qualche tensione, eppure c’è chi spera in un’alleanza organica, magari alle Regionali. Fantascienza?

Ormai la logica tradizionale destra-sinistra non conta più. Da tempo credo che la vera frattura della politica italiana e non solo sia quella europea, sovranisti da una parte, europeisti dall’altra. Una frattura trasversale alle forze politiche, e a questo stesso governo.

È vero che la legislatura è congelata fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica?

Sì, e anche questa partita non si gioca tanto sul nome o l’appartenenza politica. Tutto corre sul crinale europeo. Da Ciampi a Napolitano fino a Mattarella, il Quirinale negli anni è diventata istituzione di garanzia europea. L’elezione del prossimo capo dello Stato può trasformare la frattura europea in un burrone.

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