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“Ribadire l’attaccamento all’euro-atlantismo è essenziale per uscire dalla crisi”. Occorre evitare “inutili innamoramenti a innovative partnership” (leggasi Cina) e affrontare la sfida di “come democratizzare le nuove forme di comunicazioni e il cyber-spazio”. Parola di Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica, raggiunto da Formiche.net per commentare una settimana calda sul fronte delle relazioni internazionali, aperta dal richiamo del capo del Pentagono Mark Esper, e proseguita con gli interventi di Giuseppe Conte, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio. Sullo sfondo, l’inasprimento del confronto tra Stati Uniti e Cina, tra origini del virus e richieste di risarcimento, ma anche il ruolo della Nato nella gestione dell’emergenza.

La settimana si è aperta con l’intervista a La Stampa di Mark Esper. Per molti, un vero e proprio richiamo all’ordine per l’Italia su temi come Russia, Cina e 5G. Per lei cosa è stato?

È stato il segno della volontà di costruire una relazione privilegiata tra Italia e Stati Uniti, obiettivo per cui ho molto apprezzato anche il rapporto che esiste tra il nostro ministro della Difesa e il suo omologo americano. Per il nostro Paese è una scelta intelligente. Quanto sta accadendo nel mondo rende ancora più attuale il rilancio dell’Occidente e delle relazioni transatlantiche.

Perché?

Perché non potremo risolvere il Covid-19 (e ciò che esso sta comportando) senza un ruolo forte del mondo democratico che crede nella libertà e nella democrazia. La sfida pandemica sta diventando una priorità assoluta su cui investire. Nel momento in cui l’emergenza sarà terminata, dovremo affrontare il tema con una riflessione che coinvolga il G7 e l’Alleanza Atlantica. Lo testimonia proprio la Nato, che ieri ha organizzato un evento su come l’emergenza che stiamo vivendo rappresenti un campanello d’allarme per ciò che potrebbe accadere in futuro, tra minacce biologiche e possibili conflitti in questo campo.

Il virus potrebbe diventare un modello per attacchi futuri?

Basta immaginare un’organizzazione terroristica che ricorra ad agenti patogeni di questo tipo. Ciò comporta evidentemente l’esigenza di un salto di qualità nelle relazioni. Alla fine, su cosa si basa un’Alleanza? Non sulla convenienza, quanto sulla condivisione di esigenze e, soprattutto, di valori. Per questo, non vedo possibile, né utile, l’innamoramento a certe nuove partnership sullo scacchiere internazionale. Se si è legati a un’idea di società libera, contendibile e basata sul perno democratico, su questo si devono basare le alleanze, non su altro.

A proposito, nei giorni scorsi, ad Esper hanno risposto Conte, Guerini e Di Maio, tutti a ribadire la fedeltà euro-atlantica. Ma perché c’è l’esigenza di ribadirlo così tanto? Abbiamo dato impressioni sbagliate negli ultimi tempi? Forse con il memorandum con la Cina?

È evidente che non solo sulla Cina, ma anche sulla Russia e non solo per questo governo (sulla vicenda russa anche le principali forze di opposizione hanno dato segnali diversi) si è respirato un clima di allentamento. Non a caso ho molto apprezzato le prese di posizione dei giorni scorsi dei ministri Guerini e Amendola. Se non fossi convinto del bisogno di riaffermare un idem sentire e una tipologia di cultura, non avrei fondato Europa Atlantica. Ribadire l’attaccamento all’euro-atlantismo è essenziale per uscire dalla crisi. Certo, vanno affrontati i nodi che si sono.

Che intende?

Che ci sia una crisi nel rapporto occidentale e nel collante europeo è evidente. Il problema vero sarebbe però rassegnarsi alle tendenze sovraniste e non rilanciare il progetto. Io sono per rilanciarlo, e ho sempre lavorato perché accadesse. È anche per questo che mi ha fatto piacere la scelta degli Stati Uniti per Fincantieri nella gara per la US Navy. In politica internazionale, i matrimoni non sono eterni. Se non si curano con amore e passione, rischiano di entrare in crisi.

Ha fatto riferimento a “certe nuove partnership”. È possibile continuare a mantenere una posizione d’equilibrismo in cui si parla di Washington come “principale alleato” e di Pechino come “partner”, come detto da Di Maio?

Le partnership commerciali sono normali in un’economia di mercato. Si fanno nell’interesse della aziende, stando a certe regole, rispettando le alleanze di cui si è parte e cercando di essere produttivi con tutti, persino con la Cina, come fatto d’altra parte anche Stati Uniti, Francia e Germania. Non vorrei che si dimentichi che quando Xi Jinping andò a Parigi, Airbus firmò un contratto miliardario con le compagnie aeree cinesi. Un conto sono però le partnership commerciali; un altro le alleanze. Queste ultime si fanno con i Paesi che condividono un’idea di società e valori profondi. Per me è scontato: il nostro campo non può essere che quello dell’Occidente e del rapporto transatlantico. Siamo quelli che hanno inventato la libertà e la democrazia. Non scordiamocelo.

E la Cina?

La Cina è un Paese senza dubbio dinamico, forse il più performante a livello economico e per questo merita rispetto. Non posso però disconoscere che conserva un’idea di società che non lascia spazio alla libera iniziativa, valori distanti dai nostri. Ciò non toglie che anche l’Occidente sia chiamato a sfide importanti.

Quali?

Prima di tutto la risposta alla pandemia come nuovo tipo di minaccia. Ha ragione Bill Gates quando afferma che dovevamo aprire gli occhi prima e meglio. Poi, c’è il tema di come democratizzare le nuove forme di comunicazioni e il cyber-spazio. Hanno infranto le regole della democrazia: in rete tutti si sentono liberi di dire tutto e di diffondere notizie false. È un far west virtuale, ma molto reale. E chi le fa le regole della nuova società che vive in rete?

Chi dovrebbe farle?

Secondo me, dovrebbe farle chi crede nella democrazia e nella libertà. Vorrei che le persone che inneggiano a sistemi anti-democratici riflettessero di più su un fatto: oggi viviamo tutti nello spazio cibernetico; eppure, i Paesi che usano in maniera più invasiva le tecnologie di questo campo (come il 5G) sono gli stessi che al loro interno le reprimono maggiormente. Non può essere il mondo libero a pagarne le conseguenze. Per questo insisto su un punto: le sfide che abbiamo di fronte devono portarci a rafforzare l’idealità e l’appartenenza al campo delle libertà.

E quanto contano i rapporti industriali? Lei ha citato la vittoria di Fincantieri nella gara Ffg(X). È anche il frutto della comunanza di valori di cui parla?

Senza dubbio sì. Condividere valori ha pesato positivamente per Fincantieri e per altre aziende italiane, come Leonardo, e deve pesare sempre di più per l’Europa. Se vogliamo creare aziende europee più grandi, è perché vogliamo rilanciare il campo della Nato e dell’Occidente. Nessuno può negare che questi sette decenni di pace e democrazia siano corrisposti con il consolidamento del mondo occidentale, anche a livello industriale. Questo non sono disposto a metterlo in discussione in nessun modo.

Tornando al Covid-19, la Nato sembra essere uscita più compatta dall’emergenza, coordinando aiuti e offrendo risposte fattive. Si può dire lo stesso dell’Unione europea?

Non credo molto alla separazione tra Europa e Occidente. Le due sponde dell’Atlantico sono legate dalla stessa idea di società. Ci sono sicuramente accentuazioni diverse, ma il ruolo della politica è proprio quello di non seguire la pancia delle persone, quanto di proporre una strategia. Io non ne vedo altre se non il riavvicinamento di Europa e Stati Uniti. Per questo mi sono battuto negli anni per tutti i progetti che rendono il matrimonio più stabile. Gli egoismi del sovranismo che hanno contraddistinto negli ultimi tempi i rapporti transatlantici e intra-europei si possono sconfiggere soltanto con le idee. Io credo che quelle della democrazia restino vincenti.

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