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“Totalmente irricevibile”, così viene definita la designazione di Claudio Descalzi alla guida dell’Eni nell’appello pubblicato ieri sera da Alessandro Di Battista insieme ad un gruppo di dirigenti del M5S, tra cui Ignazio Corrao, Michele Giarrusso, Giulia Grillo, Barbara Lezzi, Massimo Bugani e Nicola Morra.

Nell’appello si argomenta ampiamente sulle vicende giudiziarie di Descalzi (ancora in fase di indagine), giudicandole sufficienti per giungere alla decisione di negarne le conferma nell’incarico (fu indicato la prima volta dal governo Renzi nell’aprile 2014 e poi confermato dal governo Gentiloni nel marzo 2017).

Posizione questa in assoluta continuità con la storia politica del movimento, nato per prendere a calci nel sedere quell’establishment di cui Descalzi è parte integrante. Quindi mi sento di affermare che Di Battista e tutti i firmatari hanno teoricamente ragione (dal loro punto di vista), oppure, se si vuole scegliere una versione più soft, si mostrano coerenti (anche qui teoricamente) con l’impostazione originale del partito in cui militano.

Perché però essi hanno ragione solo “teoricamente”, almeno secondo me? E perché questo punto di partenza corretto si trasforma rapidamente in un atto politico assai discutibile, anzi proprio brutto da vedere, anzi orribile? Cerco di spiegarlo sinteticamente.

I firmatari sono tutti ormai esperti di cose politiche e sono ai vertici del partito che ha raccolto oltre il 30 % dei voti alle ultime elezioni: alcuni di loro hanno anche ricoperto incarichi di governo. Sanno quindi molto bene come funziona il “giocattolo”, ne conoscono agenda, modi, usi e costumi.

Proprio per questo però hanno scelto con cura i tempi politici della loro uscita, che avrebbe potuto utilizzare un ben diverso calendario. Ad esempio avrebbero potuto porre il tema alla nascita del governo Conte bis, chiarendo da subito che avrebbero negato il loro consenso parlamentare ad un esecutivo non in grado di impegnarsi sin dall’avvio in un profondo ricambio dei vertici delle aziende di Stato, Eni in testa.

Ma non l’hanno fatto. Oppure avrebbero potuto sollevare il tema (con annessa raccolta di firme tra i parlamentari) all’inizio i quest’anno, condizionando così l’avvio concreto della discussione sulle nomine. Ma nemmeno questo hanno fatto.

Infine avrebbero potuto gettare il sasso nello stagno a inizio aprile, quando ormai era chiaro che si sarebbe proceduto ai rinnovi entro fine mese. Così facendo avrebbero posto un caveat formidabile agli incaricati delle trattative sui nomi (innanzitutto a quelli del M5S), condizionando il rush finale delle designazioni.

Non l’hanno fatto ed escludo si tratti di un caso.

I nostri eroi hanno invece deciso d’intervenire a cose fatte, nella più coerente linea d’azione grillina inaugurata con Tav, Tap e così via. Un bell’appello dai toni (verbali) forti e nessuna intenzione concreta di incidere sulla realtà. In buona sostanza un assist a Descalzi.

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