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Troppo spesso ormai la scienza entra nel dibattito pubblico come un oggetto distante, oppure – all’opposto – come materia da consumo immediato, dove tutto vale quanto tutto. Oggi, nel corso de “La Bussola della Scienza. Orientarsi fra (falsi) miti e post-verità” si è provato a riportarla nel suo spazio naturale: quello del confronto competente, con un linguaggio comprensibile e un dialogo non gridato. L’iniziativa, organizzata da Formiche e Healthcare Policy e promossa da Multiversity e Nestlé con il contributo non condizionante di Sanofi, è stata aperta da Barbara Carfagna, giornalista Rai, e Alessandra Micelli, direttrice di Healthcare Policy e condirettrice di Formiche, che hanno posto l’accento sul punto da cui urge partire: la scienza può esistere solo se la si riesce a comunicare. “Con La Bussola della Scienza abbiamo voluto creare uno spazio che mancava”, ha spiegato Micelli, ricordando che oggi non basta produrre evidenze: serve “saperle raccontare, renderle accessibili, farne uno strumento di fiducia”.

CHI HA IN MANO LA BUSSOLA DELLA SCIENZA?

“La scienza vive solo se riesce a farsi capire”, ha detto Luca Pani, professore di Psichiatra ed esperto di farmacologia, già direttore di Aifa, toccando quello che molti considerano il nodo centrale: il linguaggio, mettendo inoltre in guardia dalla fragilità delle “interfacce” – istituzioni, media, comunità esperte – che dovrebbero fungere da ponte con i cittadini. Quando quel ponte si indebolisce, la fiducia evapora e ritornano “vecchi inganni, come il caso Stamina”, ha ricordato. Una dinamica che Gilberto Corbellini, professore di Storia della medicina alla Sapienza di Roma, ha ampliato guardando alla responsabilità delle élite culturali. Perché è troppo facile – ha osservato – attribuire tutto “all’ignoranza popolare, se si perde la bussola!”, ha detto, ricordando che i principi stessi della democrazia liberale funzionano solo laddove chi ha la responsabilità di elaborare orientamenti affidabili viene riconosciuto come tale. Quando questa componente sociale si indebolisce, “genera effetti dannosi per la convivenza”.

EDUCAZIONE E FORMAZIONE

Il tema dell’educazione, inevitabile, è entrato presto nel cuore della discussione. Laura De Gara, presidente del corso di laurea magistrale in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione umana e delegata del rettore per il progetto One health all’Università campus Bio-medico di Roma , parlando di nutrizione come determinante di salute e prevenzione, ha affermato: “La conoscenza e la ricerca scientifica sono da sempre motori di progresso, e oggi le evidenze in ambito nutrizionale ci aiutano a trasformare l’alimentazione in un fattore di salute. Ma sappiamo che le corrette abitudini si formano nell’infanzia, per questo è fondamentale la collaborazione tra ricerca ed educazione in progetti che incidano sugli stili di vita alimentari a partire dai bambini e dalle loro famiglie. Nutripiatto è un esempio concreto di sinergia tra mondo accademico e aziendale: uno strumento semplice, basato su evidenze scientifiche, per favorire una corretta alimentazione fin da piccoli e contrastare le fake news che minacciano la nostra salute”. Sul versante della comunicazione accademica e scientifica, Vilberto Stocchi, rettore dell’Università telematica San Raffaele di Roma, ha insistito su un concetto semplice ma spesso frainteso: non serve semplificare la scienza, serve renderla comprensibile. “Per contrastare la disinformazione scientifica dobbiamo rendere i dati comprensibili e usare un linguaggio che costruisca fiducia. La scienza ha bisogno di chiarezza, non di semplificazioni: dobbiamo spiegare come funziona, non solo che cosa scopre”, ha affermato.

IL CONTRIBUTO POLITICO

Il dibattito ha voluto inoltre offrire dimensione politica concreta alla discussione. Gian Antonio Girelli, deputato e membro commissione Affari sociali, ha descritto un ecosistema informativo dove “la disinformazione colpisce tutti, anche i più istruiti”, perché il livello di rumore trasforma ogni contenuto in qualcosa di apparentemente equivalente. Per uscirne, ha detto, serve “un nuovo patto tra scienza, istituzioni e cittadini”, e la politica “deve essere la prima a sottoscriverlo”. Un’idea ripresa da Ylenja Lucaselli, che ha riportato l’attenzione sulle lezioni del Covid. In quella fase, la scienza ha mostrato la sua forza – “molti di noi non potrebbero essere qui senza la scienza”, ha ricordato – ma anche le sue fragilità comunicative. Per Lucaselli, la politica ha il compito di “trasformare la conoscenza scientifica in decisioni concrete” e di farlo con una comunicazione “chiara, affidabile e continua”, evitando di riprodurre gli errori che hanno alimentato sfiducia e polarizzazione. Tra i passaggi più netti, la critica alle condizioni che in Italia (ed Europa) limitano la ricerca – dalle norme sulla privacy troppo rigide all’impossibilità di usare dati utili alla medicina di precisione. E il richiamo – lo ha detto a chiare lettere Elisa Pirro, senatrice e membro commissione bilancio – a “un fact-checking all’interno del dibattito politico e scientifico del Paese, bisogna abituare le persone quando si fa divulgazione che alcuni dati e affermazioni sono verificabili altri no”, osservando che “la frattura si è creata quando anche i professionisti della scienza non hanno saputo spiegare” e che la pandemia ha mostrato quanto sia fragile un sistema in cui le informazioni corrette non riescono a sovrastare le narrazioni che si diffondono più velocemente.

QUALE RUOLO PER LA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA

Se la fiducia è un processo anche culturale, è però soprattutto un esercizio quotidiano di chiarezza. Su questo è intervenuta Mirella Taranto, coordinatrice del Portale ISSalute e direttrice dell’Ufficio stampa dell’Istituto superiore di Sanità, mettendo in connessione comunicazione e sostenibilità del sistema sanitario: “Con una popolazione che invecchia, l’alfabetizzazione sanitaria diventa una condizione di sostenibilità”, ha spiegato, ricordando che la comunicazione scientifica non è un accessorio: è uno strumento che permette alle persone di arrivare in salute all’età avanzata.

UNO SHOCK DI PARADIGMA

Un confronto serrato sul ruolo della narrazione scientifica, sul peso del “rumore”, sulla necessità – come ha detto ancora Corbellini – di evitare che la scienza venga piegata a uno “scopo pratico” immediato, perdendo la capacità di spiegare i processi.

Pani, ragionando sui cambiamenti tecnologici, ha evocato Thomas Kuhn e l’idea di paradigmatic shift che oggi si traduce in uno “shock di paradigma”, una piattaforma in continuo movimento che mette sotto pressione sia la produzione sia la comunicazione del sapere. “La scienza non esiste nel vuoto, ma all’interno del patto sociale che tiene insieme ricercatori, mondo accademico e istituzioni”, ha ricordato Valentina Mantua durante le conclusioni. Lo “shock” e la crisi di fiducia che ne consegue, dunque, richiedono una risposta condivisa a quella che è una responsabilità condivisa. Come ha sintetizzato Micelli, “non è la scienza a essere in crisi ma la sua narrazione”, la Bussola della Scienza vuole essere un percorso per ricucire una relazione che si è sfilacciata, capace di riportare la scienza al centro della vita pubblica con linguaggi chiari e riconosciuti.

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La fiducia si costruisce (e si perde). Lezioni dalla Bussola della Scienza

In un ecosistema dove tutto sembra valere quanto tutto, anche le evidenze più solide faticano a emergere. All’evento di Healthcare Policy e Formiche, ricercatori, politici e comunicatori hanno discusso come ricostruire un patto credibile con i cittadini

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