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Chi ricorda ancora il grande balzo in avanti, slogan lanciato da Mao alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso per indicare la rapida modernizzazione della Repubblica Popolare Cinese che sarebbe avvenuta nel giro di pochi anni? Forse pochi lettori, e piuttosto anziani. In effetti, lo stesso grande balzo in avanti durò poco e Mao ed i suoi più fidi smisero di parlarne dopo un paio d’anni, data la grande confusione che si era creata.

Per la trasformazione della Cina si dovette attendere le quattro modernizzazioni lanciate da Den Xiaping nel 1978 e portate avanti, non senza confusione, negli ultimi quaranta anni. Introdurre elementi più spregiudicati di economia di mercato in un sistema politico dittatoriale-comunista non è stato privo di contraddizioni che appaiono tutte nella crisi del coronavirus, crisi iniziata in Cina ma che si sta espandendo al mondo intero (e sta colpendo particolarmente l’Italia).

È stato già sottolineato come sarebbe stato più facile fermare il morbo quando i medici di Wuhan, all’inizio di dicembre, ne avevano denunciato i primi casi e la gravità. Questi medici non solo non sono stati ascoltati, ma sono stati silenziati, ammoniti e puniti. Uno di loro – come è noto – è morto a causa del virus. Per oltre un mese, Xi Jinping ed i suoi sodali hanno tentato di nascondere l’evidenza mentre il virus si rafforzava e si espandeva. Hanno avuto anche “la collaborazione silenziosa” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dove la Cina comunista ha posizioni dirigenziali importanti ottenute nell’ambito di una strategia mirata ad avere peso nelle organizzazioni internazionali (come è noto, ad esempio, la Cina fa il bello ed il cattivo tempo alla Fao dove ha comprato, con aiuti a Stati africani, il posto di direttore generale). Quindi, si è tutti partiti in ritardo con le conseguenze che si leggono nei bollettini medici quotidiani.

Il coronavirus sta mostrando a tutto tondo come la Cina è ormai il grande malato dell’Asia. E rischia di ammalare il resto del mondo, non solo epidemiologicamente ma anche economicamente e politicamente.

Lo mostrano due episodi a cui la stampa italiana ha dato poco rilievo.

Il primo risale alla settimana scorsa. Tre corrispondenti del Wall Street Journal accreditati a Pechino da anni sono stati “invitati ad andarsene via” perché uno di loro, l’autorevole opinionista Walter Russell Mead ha scritto un articolo intitolato “La Cina è il grande malato dell’Asia”, come indicato precedentemente. Una nota che accompagnava il decreto di espulsione accusa i tre giornalisti di razzismo e di voler sporcare la Cina con attacchi infondati. Chi ha letto l’articolo sa che i così detti attacchi infondati altro non sono che un’analisi della cattiva gestione della prima fase dell’economia. La misura, un’inaudita offesa alla libertà di stampa e di opinione, mostra a tutto tondo la fragilità e la debolezza del gruppo di potere che governa a Pechino. Ormai è terrorizzato sia dai medici che lo informano dell’arrivo di una nuova epidemia sia da un articolo nella pagina dei commenti del Wall Street Journal.

L’altro episodio è descritto nell’ultimo fascicolo del The Economist e negli ultimi numeri del New York Times. In breve le restrizioni che le autorità politiche di Pechino hanno dovuto imporre nel tardivo tentativo di frenare l’espansione del coronavirus pesano sui profitti delle oligarchie create dalle quattro modernizzazioni. Quindi è in corso una lotta senza esclusione di colpi tra oligarchie ed un Partito Comunista Cinese, che sembra sempre più fragile ed il cui ventesimo congresso atteso per quest’anno o il prossimo è stato rimandato sine die.

Siamo al grande balzo indietro.

Ciò dovrebbe fare riflettere l’Italia, che, unica tra i grandi Paesi dell’Unione europea (Ue), ha firmato un Memorandum of Understanding (Mou) con la Cina. Il Mou copre vari settori ed è stato presentato agli italiani come un grande successo, anche se fino ad ora non si sono visti esiti concreti.

Alla Farnesina farebbero bene a chiedersi se non si è troppo esposti con un gruppo dirigente che sta facendo un grande balzo indietro e se troppi abbracci con Xi Jinping non possano essere malvisti dai nuovi dittatori.

Cina, il grande balzo indietro. Il commento di Pennisi

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