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Dopo più di un mese dall’inizio delle proteste in Libano, rivolte principalmente contro la corruzione e la paralisi istituzionale del Paese dei Cedri, è possibile individuare alcuni trend. In primo luogo, la protesta spontanea e trasversale a tutti i partiti e alle confessioni libanesi sembra essersi incanalata su differenti agende politiche. Le dimissioni di Saad Hariri dello scorso 29 ottobre, così come il fallito tentativo, bocciato subito dalle proteste di piazza, della nomina a premier di Mohammed Safadi lo scorso 15 novembre, hanno lasciato un pericoloso vuoto politico nel già precario equilibrio libanese.

Quello che sembra emergere con sempre maggior evidenza è la contrapposizione, anche violenta, tra le anime della protesta. Proprio la scorsa notte si sono registrati scontri tra supporters di Hezbollah e Amal contro gli altri manifestanti. Come in altre occasioni, l’esercito libanese sta intervenendo per evitare il contatto tra le folle ed evitare ulteriori escalation.

Non sfugge che dietro alla possibile nascita del nuovo esecutivo libanese, che per una parte dei manifestanti dovrebbe configurarsi come tecnico mentre per il blocco di Amal ed Hezbollah dovrebbe vedere la riconferma di Hariri, vi sia una partita ben più rischiosa e non riconducibile alla protesta contro la corruzione, la crisi economica e il nepotismo.

Gli ambienti vicini al Partito di Dio hanno manifestato forti preoccupazioni rispetto alla nascita di un esecutivo che non tenga conto del loro ruolo non solo parlamentare o, peggio ancora, nasca con intenti ostili.

In sostanza, qualora non fosse percorribile la strada del reincarico ad Hariri, con gli attuali equilibri del Parlamento libanese, sarebbe quasi impossibile dar vita ad un esecutivo senza o addirittura contro gli Hezbollah.

Il rischio che alcune letture e narrazioni di quanto sta avvenendo in Iraq e Iran, (si veda al riguardo le dichiarazioni di queste settimane del segretario di Stato Mike Pompeo e del generale iraniano Qasem Soleimani), potrebbero determinare una pericolosa strumentalizzazione ed escalation tra fazioni libanesi.

Un simile scenario, se sommato alla crisi politica in Israele, potrebbe polarizzare l’attenzione altrove e offrire pericolose e azzardate opportunità di escalation e provocazioni tra Hezbollah e Israele.

Ecco perché in Libano si rischia l'escalation. L'opinione di Bressan

Dopo più di un mese dall’inizio delle proteste in Libano, rivolte principalmente contro la corruzione e la paralisi istituzionale del Paese dei Cedri, è possibile individuare alcuni trend. In primo luogo, la protesta spontanea e trasversale a tutti i partiti e alle confessioni libanesi sembra essersi incanalata su differenti agende politiche. Le dimissioni di Saad Hariri dello scorso 29 ottobre,…

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