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Dopo mesi di stallo politico a seguito delle elezioni anticipate di luglio che hanno portato impasse in Parlamento, nasce il governo Barnier, di fatto un esecutivo di stampo conservatore composto da 39 ministri. Il campo presidenziale macroniano e i repubblicani si accordano per una equa divisione tra Renaissance e il partito di destra. Solo Didier Migaud, alla giustizia, appare come una figura di stampo socialdemocratico. Sette le figure del governo Attal che sono state riconfermate dall’ex commissario europeo, nonostante la sconfitta delle forze macroniane alle elezioni legislative.

Alcuni nomi noti della politica francese che sperano in un esecutivo di corto respiro non hanno dato la disponibilità ad entrare nel governo, mentre l’inner circle dell’Eliseo ha imboccato l’unica strada percorribile. Ecco cosa potranno fare i nuovi ministri per durare ed evitare nuove urne tra un anno.

L’esecutivo

Agli esteri il 41enne Jean-Noel Barrot, già viceministro per gli Affari europei con Attal e già ministro per gli Affari digitali di Macron. In passato vicino a Francois Bayrou, è la cerniera con il mondo centrista e una figura che garantisce un equilibrio politico.

Agli interni il 63enne conservatore Bruno Retailleau, protagonista dello spostamento a destra del partito in virtù di una campagna ad hoc su temi come l’immigrazione: ha proposto a Macron modifiche costituzionali che consentano tagli alle prestazioni sociali per gli immigrati presenti su suolo francese e si è opposto alla proposta di Macron di inserire in Costituzione il diritto delle donne a ricorrere all’aborto.

Coraggiosa la scelta alle finanze, dove va il 33enne Antoine Armand, macroniano della prima ora, laureato nel 2018 presso la prestigiosa Ecole Nationale d’Administration. Non avrà un compito facile, dal momento che dovrà gestire il deficit di bilancio e i tagli alla spesa pubblica che saranno contenuti, assieme all’aumento delle tasse, nella nuova manovra. I vertici Ue hanno più volte ricordato a Parigi che il deficit è troppo elevato: nel 2023 si è attestato al 5,5% della produzione economica, mentre il debito è arrivato a 104,8%. Entrambi i numeri ben oltre la soglia dell’Ue.

Un altro macroniano agli affari europei, il 38enne Benjamin Haddad, eletto per la prima volta in parlamento nel 2022 con il partito del presidente. Vicino agli Stati Uniti, dove ha lavorato per un think thank, è stato tra i promotori della campagna rivolta a molti legislatori europei per firmare l’appello al Congresso degli Stati Uniti che sbloccasse gli aiuti all’Ucraina.

Anche la difesa è di fatto controllata da Macron con Sebastien Lecornu, che resta alla guida del ministero. Di origine conservatrice, era stato escluso dai repubblicani dopo essere stato nominato ministro nel governo del 2017.

Scenari ed equilibri

Il macronismo si è spostato a destra, è la critica più diffusa che in queste ore circola a Parigi, ma che viene respinta con un ragionamento pragmatico: dal momento che, in termini di voti, il centrodestra si è imposto sulla sinistra e che soltanto con l’alchimia del sistema elettorale al doppio turno è stato impedito a Bardella e Le Pen di vincere, il presidente ha compreso come non sarebbe stata “digeribile” una scelta (con Melenchon) che di fatto avrebbe, da un lato, mortificato il voto popolare e, dall’altro, messo su un piedistallo una visione anti occidentale e di fatto anti atlantista.

Mélenchon è noto anche per la sua posizione filo-russa sul conflitto in Ucraina: nel 2016 venne definito uno dei soggetti più filo russi di Francia in un rapporto dell’Atlantic Council intitolato “I cavalli di Troia del Cremlino”. Recentemente ha giustificato l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e in precedenti occasioni ha definito il governo di Kyiv “neo-nazista”.

Sul fronte interno la sua campagna elettorale si è caratterizzata per la promessa fatta dal Nuovo Fronte Popolare di aumentare la spesa pubblica di 150 miliardi di euro, finanziata con maggiori tasse a super-ricchi e grandi imprese.

Michel Barnier

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