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Un altro fine settimana di scontri violenti a Hong Kong; il terzo weekend consecutivo in cui la polizia si è scatenata contro i manifestanti con lacrimogeni e proiettili di gomma.

Due mesi fa l’obiettivo delle manifestazioni era chiaro: si voleva fermare il progetto di legge che avrebbe permesso l’estradizione nella Cina continentale. Ora che è stata dichiarata la “morte” della proposta, secondo la governatrice Carrie Lam, le proteste continuano. I cittadini di Hong Kong chiedono non solo le dimissioni di Lam, più autonomia da Pechino e un vero sistema democratico per la scelta dei suoi leader. Alla base delle manifestazioni ci sarebbe anche il desiderio di una miglior qualità di vita.

IL PROBLEMA DELLA CASA

Un reportage del quotidiano americano The New York Times solleva un problema antico: il costo folle degli appartamenti nell’isola. Ci sono affitti più costosi rispetto a New York, Londra o San Francisco per appartamenti il 50% più piccoli. Una persona su cinque vive in stato di povertà con uno stipendio di circa 4,82 dollari all’ora.

“Sotto la furia politica si cova una corrente sotterranea di profonda ansia sul proprio futuro economico (e i timori che possa peggiorare) – si legge sul Nyt -. I numeri sono impressionanti. Il divario tra ricchi e poveri a Hong Kong è nel margine più ampio degli ultimi 50 anni e resta tra i più grandi del mondo. È tra i Paesi con la giornata di lavoro più lunga e gli affitti più alti”.

Gli stipendi, infatti, non sono stati aggiornati rispetto agli affitti, che sono aumentati del 25%. Negli ultimi 10 anni, i prezzi delle abitazioni sono aumentati il triplo. Una casa costa circa 20 volte il reddito annuo di una famiglia. Per questo circa 210mila persone di Hong Kong vivono in appartamenti non agibili in periferia.

VIVERE IN UNA GABBIA

Alcuni così piccoli (di circa 9 metri quadrati) che sono chiamati “gabbie” o “bare”. Il fotografo Benny Lam ritrasse nella serie “Home Ownership” della mostra “Trapped” queste minuscole case a Hong Kong, in collaborazione con l’organizzazione Society for Community Organization (qui le foto).

A Vice Australia, Lam ha raccontato che in questi spazi “non ci sono finestre per la ventilazione e i letti sono troppo corti per consentire ai residenti di distendere i loro corpi. […] Una di queste persone mi ha preparato da mangiare. Non sapevo se il sapore del cibo proveniva dalla cucina o dal bagno”.

Nel 2016 il numero di residenti di Hong Kong in stato di povertà era di circa 1,36 milioni, pari al 20% della popolazione totale. Il governo ha introdotto un sistema di welfare sociale che però ha aiutato solo 356mila cittadini, lasciando gli altri a vivere in queste condizioni di disagio.

RABBIA CONTRO IL SISTEMA

Questi problemi erano al centro delle proteste della Rivoluzione degli Ombrelli già nel 2016, come ricorda il New York Times: “I critici sostengono che le politiche del governo che favoriscono gli sviluppatori immobiliari peggiorano la situazione. Il governo riceve denaro delle vendite delle terre agli agenti immobiliari, che però favoriscono lo sviluppo di case di lusso su quelle più abbordabili”. Ho-fung Hung, professore di Economia politica all’Università John Hopkins, ha spiegato che “molti giovani vedono pochi modi di uscire da questa situazione economica e politica. Ed è per questo che la loro rabbia e disperazione colpisce il sistema”.

Stessa problematica con gli stipendi, che non bastano per coprire le necessità fondamentali delle famiglie. Lo stipendio minimo è di 4,82 dollari all’ora. Diverse Ong hanno chiesto al governo di aumentarlo a 7 dollari all’ora, una cifra minima secondo i calcoli dell’organizzazione britannica Oxfam. Alcuni parlamentari sostengono che è quel divario a mantenere competitivo Hong Kong per le imprese straniere. Per molti manifestanti, la possibilità di avere elezioni dirette darebbe più spazio al dibattito su questi argomenti economici così importanti per la vita di tutti i giorni.

Cosa non si dice sulle proteste ad Hong Kong

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