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Vale la pena sognare un’Europa verde. Mai come oggi il progressivo addio al carbone, unito all’emergenza climatica planetaria, apre la strada a una svolta epocale in termini di tutela dell’ambiente. In Italia si sta faticosamente costruendo quel Green new deal da 10,5 miliardi in tre anni e 50 entro il 2035 (qui la road map indicata a Formiche.net dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta), ma anche in Ue non si scherza: la svolta verde è in cima all’agenda non solo di Ursula von der Leyen ma anche del neo-commissario all’Economia, Paolo Gentiloni. La prova di un’Europa sempre più green è arrivata anche dal convegno svoltosi presso la rappresentanza della Commissione, organizzato nell’ambito del Festival della Diplomazia.

Transizione energetica: la politica Ue su energia e clima era il titolo dell’evento a cui hanno partecipato Carlo Corazza, capo ufficio Parlamento Europeo in Italia, Francesca Cigarini, Affari Politici Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, Oliviero Montanaro, dg per lo Sviluppo Sostenibile, per il Danno Ambientale e per i Rapporti con l’Ue e gli Organismi Internazionali, in forza al ministero dell’Ambiente, Enrico Giovannini, portavoce Asvis, Andrea Bianchi, direttore Area Politiche Industriali Confindustria, Luca Schieppati, managing director del consorzio Tap e Simone Mori, direttore Europe and Euro-Mediterranean Affairs di Enel.

UNA GUERRA SILENZIOSA

Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro, non è andato per il sottile nel dare il senso del dibattito. “Stiamo vivendo una guerra, silenziosa ma non per questo meno letale. Una guerra che costa 400mila vittime all’anno. Possiamo prendercela solo con noi stessi, perché lo sapevamo da 50 anni che saremmo arrivati a questo: il cambiamento climatico è il più grande fallimento di mercato della storia”, ha spiegato Giovannini, oggi portavoce dell’Alleanza per la sostenibilità. “Siamo dinnanzi a qualcosa che probabilmente cambierà lo stesso equilibrio finanziario mondiale. Le banche centrali rischiano di fallire per supportare lo sforzo verso un contrasto al cambiamento climatico. Questa guerra, che noi oggi affrontiamo con decenni di ritardo, cambierà con ogni probabilità il nostro capitalismo, così come lo conosciamo”.

Secondo Giovannini tutto sta in un nuovo approccio mondiale al problema Terra. “Dobbiamo partire da un approccio che metta insieme economia, ambiente e persone. La stessa commissaria von der Leyen ha indicato come cuore della sua agenda, i target 2030 per lo sviluppo sostenibile. A questo punto la domanda è: la governance europea va verso politiche per la sostenibilità, ma l’Italia? Arriverà, ancora una volta all’ultimo secondo? Come possiamo affrontare cambiamenti così importanti? Ecco perché dico che il premier italiano deve farsi carico di questa grande, enorme sfida”.

CHI ROMPE, PAGA

A sentire le imprese, c’è comunque da battersi il petto. “L’industria è responsabile di questi danni e l’industria ora deve rimediare”, ha spiegato Andrea Bianchi. “Il punto è come conciliare crescita con obiettivi ambientali, in altre parole dove fissare l’asticella. Perché se è vero che le imprese e le industrie devono rispettare l’ambiente non si può certo rinunciare alla salvaguardia dell’ambiente, il problema è proprio questo: come riuscirci? Riuscirci non è compito facile, servono importanti investimenti, sì privati ma anche spinti da una politica di accompagnamento valida, che sostenga il cambiamento. Senza quella sponda pubblica, le imprese non possono caricarsi di questo grandissimo e straordinario sforzo”.

L’ESEMPIO DEL TAP…

L’asse portante del Green new deal formato Europa sono, naturalmente, le grandi infrastrutture energetiche. Come il Tap, il gasdotto (partecipato da Snam) che consentirà all’Italia di beneficiare del gas dell’Azerbaijan, rendendoci meno dipendenti dalla Russia. “Se noi andiamo a immaginare di come riuscire a spiazzare il carbone con il gas, dobbiamo pensare che con il gas abbiamo risolto il problema delle emissioni di polveri. Il gas è pulito, sostenibile e competitivo”, ha spiegato il managing director di Tap, Schieppati. “Oggi occorre coordinare rinnovabili, elettrico e gas per vincere la sfida della sostenibilità. La competitività delle fonti è un elemento essenziale in questo quadro, la cosa essenziale è far lavorare insieme le diverse tecnologie alternative al carbone”, ha aggiunto il manager. “Tap per esempio sta garantendo un’infrastruttura energetica che non ha emissioni nell’ambiente, risulta fin troppo evidente come l’industria tutta debba fare la sua parte”.

Schieppati ha poi fatto un bilancio degli ultimi due anni del gas in Ue. “C’è un tema delle infrastrutture che portano il gas e che deve essere coniugato con il concetto di decarbonizzazione. Mi sembra importante ricordare anche che rinnovabili e gas possono andare insieme e dare un contributo essenziale alla decarbonizzazione”.

…E QUELLO DI ENEL

L’Italia, oltre ad aziende come Tap, può contare sul proprio campione energetico nazionale, Enel. “Il 100% dei nostri investimenti è dedicato a tematiche che hanno a che fare con la decarbonizzazione”, è la premessa fatta da Simone Mori. “L’industria oggi è uno dei problemi fondamentali nei cambiamenti climatici, ma ci sono delle note positive che vanno menzionate. L’Europa è di gran lunga l’economia più avanzata al mondo in termini di uso di tecnologie sostenibili e all’interno di questa economia l’Italia è quella più avanzata. Dobbiamo dare atto all’Europa di aver messo in atto politiche di attacco ai cambiamenti climatici con largo, larghissimo anticipo”, ha spiegato Mori.

“Questo sforzo dell’Europa ha prodotto un grande avanzamento tecnologico. Oggi se c’è un posto dove un impianto di fonti rinnovabili costa meno nel mondo, è l’Europa. La rivoluzione è stata costosa ma ha prodotto degli effetti importanti”. Mori si è poi detto ottimista sulla svolta green che Ursula von der Leyen vuole imprimere all’Europa. “Io sono sicuro che il programma della commissione potrà essere attuato. Una condizione è che ci si convinca che la finanza green è una finanza assolutamente sana”.

Il manager Enel non ha dimenticato un tema importante: le autorizzazioni per realizzare impianti rinnovabili. “Il tempo necessario non è breve, mentre la realizzazione dell’impianto è banale. E così succede che quando arriva l’autorizzazione si installano impianti vecchi di una o due generazioni. A quel punto il produttore deve fare un impianto aggiornato ai tempi dell’autorizzazione. Se si dovesse chiedere qualcosa alla politica, bisognerebbe chiedere di non avere un atteggiamento difensivo, non solo sull’ambiente. L’Italia non ha nulla da perdere, non dobbiamo aver paura di fare norme e regolazioni che spingano a fare meglio”.

 

 

 

 

 

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