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Tra pochi giorni avrà luogo a L’Aja il Vertice dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza Atlantica e, molto presumibilmente, verrà deciso di assumere l’impegno a portare al 3,5% del Pil la spesa militare propriamente detta nell’arco di sette, dieci anni. A valori 2024, significa portare la spesa militare a 76 miliardi e 700 milioni di euro annui, dagli attuali circa 34 miliardi e 400 milioni, cioè l’1,57% del Pil dichiarato ad inizio 2025, prima che la “notte dei miracoli” portasse magicamente la spesa per la Difesa al fatidico 2%. Tradotto in pratica, significa che per i prossimi 10 anni bisognerà aggiungere, ogni anno, non meno di 4 miliardi di euro incrementali al bilancio della Difesa, cifra destinata a crescere per adeguarsi all’incremento del Pil stesso.

Questo sforzo senza precedenti porta a due riflessioni.

La prima: considerando che, quale che sia la forma di finanziamento, questo straordinario impegno economico si scaricherà sulle prossime generazioni, è della massima importanza che il popolo italiano sia dettagliatamente informato sul perché, sul cosa e sul come. Ovviamente questa informazione dovrebbe attuarsi per il tramite del Parlamento, magari richiedendo al governo di presentare un apposito allegato al primo Documento Programmatico Pluriennale utile (triennio di bilancio 2026-2028). Non si tratterrebbe di un semplice atto formale, ma di un atto sostanziale, ove si consideri che l’attuazione di un piano di tale portata, sia economica che temporale, impegnerà almeno tre legislature. È un atto di trasparenza democratica che dovrà anche superare certe remore in materia di riservatezza, perché i cittadini hanno il diritto di conoscere e di sapere, specie quando si parla della loro sicurezza.

La seconda: un impegno di tale portata non lascia spazi per altri progetti nel campo della Difesa ed è quindi necessario che si faccia subito chiarezza su cosa sia effettivamente il Pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, ovvero se questo scaturisca dalla somma dei contributi dei singoli Stati europei oppure ne sia il prodotto. Questa differenza non è di poco conto, perché nel secondo caso bisognerebbe modificare l’attuale processo di pianificazione capacitiva della Nato, che oggi avviene tra Alleanza e singola Nazione. Un preventivo coordinamento tra europei, esteso anche a chi è fuori dall’Unione, favorirebbe invece quell’integrazione e semplificazione tra gli Eserciti europei di cui tanto si parla, spingendo anche la base industriale dell’Europa ad una maggiore, reciproca collaborazione.

Perché questa cosa sarebbe della massima importanza? Perché, pure senza toccare l’autonomia che oggi possiedono i singoli Stati, una tale integrazione capacitiva favorirebbe una eventuale, futura evoluzione dell’Unione europea verso un soggetto sovranazionale dotato di una comune politica estera e di difesa e di un proprio strumento militare. Ma anche se ciò non avvenisse, si sarebbe comunque efficientata la spesa militare degli europei, un obiettivo dai riflessi non trascurabili sui piani economico e capacitivo.

Deve essere altresì chiaro, dall’altra parte, che potenziare gli apparati dei singoli Stati, lasciando alla sola Nato la regia di tale progetto, significa sì potenziare l’Alleanza nella sua interezza, lasciando però la Golden share all’attuale azionista di maggioranza e un pesante macigno sulle spalle di una ancora non nata capacità di difesa europea.

Spese per la difesa, è tempo che l'Europa scelga il suo futuro. Scrive Pietro Serino

Di Pietro Serino

Un preventivo coordinamento tra europei, esteso anche a chi è fuori dall’Unione, favorirebbe quell’integrazione e semplificazione tra gli eserciti europei di cui tanto si parla, spingendo anche la base industriale dell’Europa ad una maggiore, reciproca collaborazione. L’analisi del generale Pietro Serino, già capo di Stato maggiore dell’Esercito

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