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Ci sono pochi dubbi: la competizione bipolare è ormai tra Stati Uniti e Cina, forse presto (anche) sul fronte nucleare. L’avvertimento arriva dal generale Robert Ashley, numero uno della Defense Intelligence Agency, la principale agenzia statunitense di intelligence militare. Protagonista d’eccezione dell’evento organizzato a Washington dall’Hudson Institute, il direttore della Dia ha aggiornato la lista delle preoccupazioni Usa in campo nucleare.

LE PAROLE DI ASHLEY

La Russia continua a essere al centro del mirino dei timori americani, non solo per un arsenale molto diversificato, ma anche per il mantenimento di una dottrina che conserva “il potenziale uso coercitivo degli armamenti nucleari”. Eppure, le espressioni di maggiore preoccupazione hanno riguardato gli avanzamenti cinesi nel campo, già indicati a più riprese dai documenti strategici dell’amministrazione Trump (compresa la Nuclear posture review). “Nei prossimi dieci anni – ha detto il generale Ashley – la Cina potrebbe raddoppiare le proprie scorte di testate nucleari”. Testate da caricare su vettori che hanno visto un notevole sviluppo nei tempi recenti. “L’anno scorso – ha ricordato – ha lanciato più missili balistici per test e addestramento del resto del mondo messo insieme”. Inoltre, ha rimarcato, “le informazioni in possesso del governo degli Stati Uniti indicano che la Cina si sta preparando a gestire il sito dedicato ai test tutto l’anno, uno sviluppo che si rivolge direttamente agli obiettivi crescenti della Cina per le sue forze nucleari”.

LA POTENZA NUCLEARE CINESE

Ma se le ambizioni di Pechino sono ormai chiare in tal senso, ben più difficile è fare una stima della sua potenza di fuoco, considerando la cura con cui i cinesi proteggono e offuscano le informazioni relative al programma nucleare. Secondo il recente “The Pentagon’s 2019 China Report” redatto dalla Federation of American Scientists, il Dragone avrebbe a disposizione circa 290 testate nucleari. I missili balistici intercontinentali (Icbm) con cui trasportarle sarebbero 90, almeno stando al report annuale presentato dal Pentagono al Congresso americano. A questi vanno comunque aggiunti anche quattro sottomarini Jin-class (Type 094, più due in costruzione) a propulsione nucleare, ciascuno dei quali in grado di lanciare dodici missili balistici JL-2, con un range che arriva fino agli ottomila chilometri secondo l’autorevole Center for strategic and international studies.

L’ATTITUDINE ALLA PROGRAMMAZIONE DI PECHINO

Eppure, oltre i numeri, le parole del generale Ashley a Washington non fanno che confermare la tendenza a un confronto mondiale tra Stati Uniti e Cina. Ne è convinto anche il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica, secondo cui “ormai la competizione globale è quasi esclusivamente bipolare, con la Russia fuorigioco nonostante dotazioni militari ancora di tutto rispetto”. Una competizione, quella tra Washington e Pechino, che si esplica solo in piccola parte nel settore nucleare. “Nel mio piccolo – ci ha raccontato Arpino – ho un paragone diretto con quello che i cinesi stanno facendo a livello spaziale; hanno un Piano strategico al 2050, verificato mese su mese, colpo su colpo, con successi impressionanti soprattutto nella loro regolarità”. La stessa inclinazione viene dedicata al settore militare. “Lo stanno facendo anche con la Marina, con i sottomarini e con portaerei che non hanno mai avuto”, ha notato il generale.

UNA NUOVA PROLIFERAZIONE?

In questo modo, ha aggiunto, “accanto all’ormai tradizionale dimensione economica, Pechino sta sviluppando una dimensione strategica e militare che tra qualche tempo sarà in grado di dire la sua”. Inevitabile in tal senso il focus attenzionato dall’intelligence Usa relativo ai potenziamenti cinesi in campo nucleare. “Teoricamente – ha spiegato Arpino – quest’ultimo non dovrebbe essere tanto importante nel nuovo confronto bipolare; eppure, la nuova disponibilità a rinunciare a tutti i trattati in materia di proliferazione, evidente nel ritiro all’Inf Treaty, ne ha accresciuto la rilevanza”. Se si ammette la demolizione di un tassello del sistema di contro-proliferazione, “ognuno diventa libero di fare ciò che desidera”. In ogni caso, ha detto Arpino concludendo, “credo che nel nuovo bipolarismo, così come nel vecchio, lo strumento nucleare possa diventare importante non tanto come capacità operativa, quanto piuttosto come elemento di pressione a sostegno della politica, proprio come le grandi flotte che raramente sparano un colpo”.

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