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“Non credo che Meloni stia pensando a nuove alleanze orientali. Sarebbe una politica sciagurata: la nostra economia gravita principalmente sui rapporti commerciali con i Paesi occidentali. L’export italiano va principalmente venduto in America e in Europa, quindi danneggiare i rapporti con questi Paesi vuol dire danneggiare gli interessi economici italiani”. La lettura è di Alberto Pagani, docente Università di Bologna e advisor nel comparto sicurezza che su Formiche.net commenta il viaggio della premier Giorgia Meloni in Cina e tutti i dubbi emersi, a partire dagli accordi su alcuni settori strategici.

Pagani, innanzitutto una prima considerazione. Il governo decide di uscire dalla Bri, salvo poi stringere accordi bilaterali con la Cina su alcuni settori strategici. Qual è a ratio secondo lei?

La mia opinione è che in termini generali sia una strategia giusta. Il Mou sulle nuove vie della seta, che solamente l’Italia aveva accettato di sottoscrivere, ai tempi del governo Lega-Cinque Stelle, era un accordo politico complessivo, privo di vantaggi concreti, che sposava a scatola chiusa il progetto politico del partito comunista cinese. Era come prendere il biglietto di un treno, senza sapere dove ci dovesse portare alla fine della corsa. Invece sottoscrivere accordi bilaterali specifici e chiari, come fanno tutti gli altri Paesi Europei, è razionale e giusto, quando conviene ad entrambe le parti e non confligge con gli impegni internazionali già assunti. Sarebbe ancora meglio però trattare tra pari, perché in questa negoziazione la sproporzione del peso politico ed economico è evidente, Italia e Cina non sono affatto pari; mentre Europa unita e Cina potrebbero esserlo. Il problema però non è dei cinesi, è nostro. I cinesi hanno tutto l’interesse a stipulare accordi separati con ciascuno. Divide et impera lo praticavano già gli antichi romani, e noi dovremmo saperlo.

Non c’è il rischio, con questi accordi, di spostare il baricentro delle relazioni decisamente troppo verso Oriente piuttosto che verso Occidente?

Dipende dal contenuto degli accordi. Anche gli americani hanno fatto accordi coi cinesi, molto più importanti dei nostri, pur essendo evidente che si tratta del loro primo competitor strategico, soprattuto sul piano economico. Ci sono questioni sulle quali non vedo alcun problema a negoziare con la Cina, perché business is business, e altre sulle quali non lo farei mai, perché compromettere la sicurezza nazionale per ottenere un vantaggio commerciale è decisamente stupido. Per ora sospendo il giudizio, quando mi saranno più chiari i contenuti degli accordi su AI, su Fincantieri, saprò dire se questi portano benefici all’Italia o fanno danni all’Occidente.

In una fase politica così complessa e magmatica e con appuntamenti elettorali cruciali – Usa2024 – non c’è il rischio di un’esposizione del nostro Paese in chiave, più o meno volutamente, anti-occidentale?

Non lo so, ma credo che Meloni non avesse questa intenzione, quando ha intrapreso il viaggio. La critico per tante altre cose, ma non sulle intenzioni, che non si possono processare. Oggi non sappiamo chi vincerà le elezioni americane che politica adotterà nei confronti della Cina, ma sappiamo che viviamo in un mondo globalizzato, e che continueremo a commerciare con la Cina perché l’economia si basa su supply chain globali, che producono interdipendenze tra i sistemi economici che competono tra loro. È un tiro alla fune continuo, ogni sistema Paese cerca di accaparrasi le migliori condizioni di vantaggio, valore aggiunto ed opportunità economiche. Se il governo italiano non lo facesse, come fanno tutti gli altri, sbaglierebbe, perché non perseguirebbe l’interesse nazionale. Ma se lo facesse scontrandosi con i suoi alleati non otterrebbe vantaggi, ma solo guai. L’importante è che non si perda mai di vista la bussola delle alleanze politiche e militari di cui facciamo parte, che sono la Ue e la Nato. Le scelte dei governi nazionali non devono entrare in contraddizione con gli interessi strategici e geopolitici dell’Occidente, altrimenti sono autolesionistiche.

Questo viaggio di Meloni come inciderà nei rapporti con gli altri Paesi dell’Ue, dal momento che molti dei temi oggetto degli accordi restano prioritari – benché da un’altra prospettiva – anche per l’agenda europea?

Questo potrebbe essere l’unico rischio reale che vedo, come dicevo, perché danneggiare la politica comune europea per avvantaggiarsi singolarmente non porta da nessuna parte. Sulle auto elettriche, ad esempio, non riesco a capire che senso abbia andare in ordine sparso, se l’Europa è un grande mercato comune. Servirebbe una visione strategica europea, alla quale l’Italia dovrebbe e potrebbe contribuire di più, invece di andare avanti per conto proprio. Forse è mancata un po’ di profondità della visione politica, e quindi un po’ di coordinamento con gli alleati. Va bene il sovranismo, ma non penseremo mica che l’Italia, con un rapporto debito/Pil del 140%, garantito dalla Bce, possa permettersi una politica commerciale o tecnologica autonoma dalla Ue? Marco Polo, agente dell’intelligence veneziana di cui si celebrano i 700 anni dalla morte, andò in Cina per esplorare le opportunità che potevano offrirsi per la Serenissima Repubblica che lo aveva mandato in missione. Portò le notizie, poi la politica veneziana prese le decisioni. Ora vorremo sapere dalla nostra missione in Cina, quali notizie ci vengono riportate, oltre a quelle di costume, e quali decisioni concrete verrano prese nei nostri interessi. Su questo si potrà fare una valutazione politica.

A questo punto è legittimo chiedersi: Meloni sta pensando ad aprire a nuove alleanze, diverse da quelle “tradizionali” che hanno sempre caratterizzato il nostro posizionamento internazionale?

Non credo, e spero ben di no! Sarebbe una politica sciagurata e stupidissima, anche perché la nostra economia gravita principalmente sui rapporti commerciali con i Paesi occidentali. L’export italiano va principalmente venduto in America e in Europa, quindi danneggiare i rapporti con questi Paesi vuol dire danneggiare gli interessi economici italiani su questi mercati, per rincorrere le opportunità incerte dei mercati orientali, che non sappiamo se ci daranno mai realmente qualcosa di buono. Vendere la casa per andare in affitto non mi pare molto intelligente, e credo che nessuno abbia intenzione di farlo.

In chiave interna, come si pone nel dibattito politico questo viaggio e, soprattutto, quale pensa che sarà la posizione delle opposizioni?

Fatico sempre di più a capire il dibattito politico interno perché non seguo il gossip, che abbonda, e non vedo molte discussioni sulle questioni concrete. Nemmeno la comunicazione istituzionale aiuta molto in questo senso, perché a me, delle foto della madre premier con la figlia appresso e della magnificenza delle cerimonie cinesi che l’onorano, non importa proprio nulla. Mi interesserebbe di più sapere cosa abbiamo portato a casa di concreto, da questa missione, e a quali condizioni. Se questo non lo dice chiaramente nemmeno il governo, è difficile che dall’opposizione possa venire un contributo di merito, costruttivo ed interessante. Che vuoi dire di una cosa che appare ancora generica e vaga? Rischiamo di affrontare questioni strategiche di grande importanza come queste con dibattiti superficiali e frou frou, senza sapere nemmeno per quale motivo dovremmo essere felici, o non esserlo.

Cina, accordi legittimi ma l'interesse nazionale è a Occidente. Parla Pagani

L’export italiano va principalmente venduto in America e in Europa, quindi danneggiare i rapporti con questi Paesi vuol dire danneggiare gli interessi economici italiani su questi mercati, per rincorrere le opportunità incerte dei mercati orientali, che non sappiamo se ci daranno mai realmente qualcosa di buono. Tuttavia, ci sono questioni sulle quali non vedo alcun problema a negoziare con la Cina. Colloquio con il docente Unibo, Alberto Pagani, già deputato del Partito democratico

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