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Oggi, la memoria della Shoah si riflette in un mondo del tutto diverso da quello che abbiamo conosciuto fino a pochissimi anni fa.

Nella fase culminante della guerra fredda, ricordare l’Olocausto implicava la riaffermazione di una tradizione democratica e civile dell’Europa e della stessa civiltà occidentale contro la terribile degenerazione delle ideologie totalitarie e, proprio per questo, antisemite e antisioniste.

La metafora di Benedetto Croce riguardante la “discesa degli Hiksos” era certamente semplificatoria, ma coglieva il punto: la “parentesi” totalitaria nazista e fascista aveva interrotto per circa vent’anni, una guerra terribile e l’ancor più terribile Shoah una storia europea che, proprio in rapporto con il mondo ebraico e al rifiuto del razzismo, si stava sviluppando secondo i canoni moralmente ineccepibili e naturali della liberaldemocrazia.

Nel quadro della guerra fredda, la “questione ebraica” e quindi la politica estera dello Stato di Israele coinvolgevano sia la tradizione democratica e liberale europea e statunitense, che il socialismo democratico continentale.

Anche quelle parti del sistema politico italiano ed europeo che non riconoscevano il diritto di Israele a difendersi e a prosperare, a parte gli sparuti nostalgici del fascismo e del nazismo, vedevano il Medio Oriente in un quadro di stabilizzazione che favorisse i paesi arabi non allineati o filosovietici; ma non mettevano in dubbio, salvo alcuni piccoli gruppi, il diritto di Israele ad esistere.

Oggi, gli Hiksos sono tornati, e non albergano solo nel Medio Oriente, ma anche in Europa e negli Usa.

Se prima, durante la fase della guerra fredda, l’antisemitismo era un elemento arcaico  e residuale, e peraltro ancora pericolosamente diffuso in alcuni strati della popolazione, quelli pre-moderni, oggi l’antisemitismo e l’antisionismo sono divenuti comportamenti diffusi di ampi strati del sistema politico occidentale e, soprattutto, sono il segno di una nuova unità tra il jihad  islamista e una estrema destra e una estrema sinistra unite non contro un “Israele imperialista”, ma contro gli Ebrei come tali, in Medio Oriente come in Europa e in Usa, o in Russia.

Giancarlo Elia Valori e Elio Toaff

Ecco, quindi la necessità, nuova e profonda insieme, del ricordo della Shoah.

Se non la ricorderemo e non renderemo il tributo della verità storica, ancorché quasi indicibile nella sua terribilità, a questa fase della storia dell’Ebraismo e dell’Europa, allora spianeremo la strada ad altre Shoah, che distruggeranno il mondo Ebraico e, insieme ad esso, la civiltà occidentale, i suoi valori, ai quali l’Ebraismo, in tutte le sue forme, è strettamente legato.

Non vi è Europa senza Ebraismo, non vi è identità ebraica che non sia innervata dei valori che hanno prodotto, dal Rinascimento in poi, la libertà europea e quella che Benjiamin Constant chiamava “la libertà dei moderni”.

Ecco il paradosso della Shoah: l’Europa che ha vissuto in un continuo scambio con il mondo ebraico, sia pure in una lunga serie di crisi e feroci momenti di antisemitismo, nega se stessa con l’Olocausto e annichila la presenza ebraica sul suo territorio.

E oggi la questione si ripropone in un nesso complicato di continuità e rottura con il passato antisemita: se, nell’arco della guerra fredda, era essenziale presiedere l’unica democrazia del Medio Oriente e insieme l’unico antemurale dell’arabismo nazional-socialista alleato all’Urss, interessata a chiudere lo spazio geopolitico della Nato e dell’Europa ad Est, con il “Patto di Varsavia” ma anche a Sud-Est, con la rete dei “Paesi amici” arabi ed antiebraici, oltre che nemici di Israele; oggi la questione si è approfondita.

La tradizione dell’antisemitismo come forma suprema dell’antioccidentalismo e della lotta alla globalizzazione è divenuta arma di un nuovo tipo di odio antiebraico, che rispolvera  i falsi “Protocolli dei Savi di Sion” e l’odio antisemita tout court  per sostenere il “Califfato Globale”, nel quale l’egemonia è passata dai vecchi “Stati del Rifiuto” a una galassia di forze in equilibrio instabile,  della quale fanno parte alcuni stati del Golfo Persico e del Medio Oriente oltre alle organizzazioni del “jihad permanente” e del “jihad della spada”, sostenute entrambe da una rete di “jihad della parola” che ormai è ubiquo e si sviluppa, con lo stesso potenziale distruttivo, in Occidente come nel Medio Oriente arabo e islamico.

Il centro dell’operazione di “guerra psicologica” contro Israele e il mondo ebraico della diaspora, ormai quasi minoritario rispetto a quello presente nello stato Ebraico, e quindi più debole da punto di vista politico è desolantemente semplice: occorre accusare Israele degli stessi delitti che il nazismo ha perpetrato, soltanto rovesciandoli di segno. Ovvero direzionarli nei confronti del popolo palestinese e degli arabi in genere.

Se questo vecchio elemento di guerra psicologica penetra nella pubblica opinione occidentale, allora si arriva, da parte della propaganda jihadista del “Califfato Globale” e degli Stati islamici negazionisti, a richiedere, come è stato autorevolmente proposto da un capo di Stato islamico sciita, l’eliminazione di Israele sulla base dello stesso modello rovesciato che ha permesso la legittimazione, dopo la Shoah, dello Stato Ebraico in Palestina.

Anzi, è stato detto che, se gli europei si sentono “colpevoli” della Shoah, allora devono riprendersi gli ebrei nei Paesi che hanno causato l’orrore della Shoah.

Ecco perché oggi, in un quadro così trasformato e denso di pericoli, è assolutamente ricordare la Shoah come crimine senza nome e smisurato, ma anche come fondamento politico e geopolitica di un nuovo rapporto tra Ebraismo e Occidente.

Chi cerca di dimenticare, banalizzare, negare la Shoah vuole non solo negare il vero; tanto è che la propaganda jihadista sistematicamente cade in contraddizione riguardo a numeri dell’Olocausto (che quindi ci sarebbe stato) al negazionismo puro e semplice, che paradossalmente, sulla base di ricerche palesemente e manifestamente infondate “ricerche”, ma soprattutto sciogliere il nodo tra Israele e Europa, tra Israele e Usa, per poi chiudere e circondare lo Stato Ebraico e annetterne il territorio, o distruggendo gli Ebrei presenti o rendendoli politicamente, economicamente, militarmente insignificanti.

E quindi trattare con l’Europa e gli Usa espulsi dal controllo del Medio Oriente da posizioni di forza.

La memoria della Shoah è quindi tutt’uno con la difesa della civiltà europea e occidentale democratica, pluralista, liberale e prospera.

Perché, dopo la “disattivazione” di Israele, di cui il negazionismo della Shoah è il braccio psicopolitico, avverrà la disattivazione dell’Europa e degli Usa, regionalizzati, resi militarmente impotenti e schiavi del ciclo economico del petrolio e del gas mediorientale.

È questo il grande scenario del jihad permanente oggi, e quindi il legame tra ricordo della Shoah, memoria della colpa europea dell’antisemitismo violento e criminale, è tutt’uno con la salvezza dell’Europa e della sua civiltà e valori.

Mai, come in questi ultimi anni, ricordare la Shoah vuol dire divenire pienamente europei, compiere la democrazia nel Vecchio Continente e nelle sue aree limitrofe, generare sicurezza e sviluppo in tutto il Medio Oriente e, soprattutto, garantire fino in fondo, senza se e senza ma, la sicurezza e la stabilità dello Stato Ebraico.

Ecco perché la strategia negazionista o analizzatrice della Shoah vengono utilizzate soprattutto dalle ali estreme degli schieramenti politici europei, dentro o fuori i Parlamenti eletti: sono le aree ideologiche meno interessate a una politica di coesione e di sicurezza europea globale, sono le aree politiche, a destra come a sinistra, più fredde verso la Nato e lo stretto legame transatlantico tra Usa e Ue, sono infine le tradizioni politiche più illiberali e stataliste.

Ecco contro cosa si lotta, e si lotta per i nostri valori, oltre che per l’amicizia eterna tra Ebrei e popoli dell’Europa democratica, di cui peraltro le comunità ebraiche della Diaspora sono parte integrante e fondamentale.

È un problema culturale e formativo di straordinaria importanza: in Italia, per esempio, secondo i dati dell’ultimo “report” disponibile sull’antisemitismo diffuso ben il 55% degli intervistati risponde che è “probabilmente vero” che gli Ebrei siano più leali a Israele che al loro Paese Ue di nascita, mentre paradossalmente, ma anche questo è un dato negativo, a pensarci bene, il 25 % degli intervistati risponde “Si” alla domanda se gli Ebrei siano influenzati dalle attività intraprese da Israele.

E si noti poi che, sempre alla domanda se gli Ebrei europei siano oggetto di violenza antisemita in quanto elementi della politica israeliana o solo a causa di un tradizionale antisemitismo, gli intervistati italiani rispondo rispettivamente per il 32% a causa dell’antisemitismo e il 35% a motivo della opposizione di una certa parte dell’opinione pubblica europea alla politica di Israele.

È quindi nei fatti che antisemitismo, antisionismo e odio antisraeliano coincidono di fatto.

Vista dal nostro punto di vista, questa è la conferma che si combatte l’antisemitismo quando si contrasta duramente l’odio antisraeliano, e si difende Israele e il mondo Ebraico oggi, e sempre, quando si ricorda l’immane, immonda Shoah. Come prodotto di quell’anti-Europa esplicitamente teorizzata dal nazismo, dal fascismo e da alcune tradizioni della destra e della sinistra “altermondialista” e antiamericana.

Ricordare la Shoah per porre sempre in mente cosa diviene l’Europa se perde il suo legame naturale con l’Ebraismo, ricordare il crimine assoluto dell’Olocausto per ricordare cosa deve essere l’Europa, unita agli Ebrei europei e a quelli di tutto il mondo e insieme a Israele, per difendere se stessa, prosperare, mantenere alta la sua immagine di civiltà pluralista, tollerante, libera e prospera.

È l’idea dell’Europa che perdiamo quando neghiamo o banalizziamo la Shoah, è il servaggio del Vecchio Continente che si progetta quando si rompe il legame naturale, immediato e necessario tra Europa, Civiltà Occidentale, Ebraismo.

L’accerchiamento distruttivo che viene programmato da chi teorizza il negazionismo o la bagatellizzazione della Shoah per Israele colpirà anche il Vecchio Continente; e per gli stessi motivi.

Viva Israele, Viva la civiltà occidentale, onore e memoria eterna alle vittime del crimine più efferato della Storia umana. Che il loro sguardo ci protegga e ci illumini tutti, Ebrei e Cattolici, Protestanti e laici, per onorarli sempre e, rendendo omaggio a loro, capire davvero chi siamo e che cosa dobbiamo fare.

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