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Diciamo la verità, se ci sono più no che sì a un progetto industriale vuol dire che chi dirige il gioco ha già preso la sua decisione. Che naturalmente non piace ai concorrenti. Se poi l’operazione in questione è il rilancio di Alitalia (domani scadono i termini per il mandato a vendere) allora il discorso diventa decisamente più delicato. C’è più di un indizio che conduce alla strada della nazionalizzazione dell’ex compagnia di bandiera. E, attenzione, non si tratta di una semplice partecipazione azionaria appena sufficiente ad avere il controllo della compagnia, ma di un ingresso in forze nel capitale. Come a dire, lo Stato la farà da padrone e il privato, se mai ci sarà, farà da spalla o poco più.

Primo indizio, poche ore fa Lufthansa, la maggiore compagnia europea, si è ufficialmente tirata indietro. I tedeschi non saranno mai azionisti del vettore, non se il coinquilino è il governo gialloverde almeno. O la mano pubblica si ritrae oppure al massimo verrà concessa una partnership commerciale su voli e biglietti che però con l’essere soci industriali c’entra ben poco.  La presenza dello Stato, attraverso Ferrovie, dalla quale si attende l’offerta vincolante per il 100% della compagnia, viene dunque vista come un ostacolo all’acquisizione. Carsten Spohr, numero uno di Lufthansa, durante una conference call sui conti del gruppo è stato lapidario: “non saremo co-investitori con il governo in una compagnia aerea in via di ristrutturazione”. Stop.

Secondo e terzo indizio, quello di Lufthansa non è l’unico dietrofront di giornata. C’è anche quello di Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte pubblica che il governo avrebbe voluto utilizzare come soggetto aggregatore per favorire il ritorno dello Stato in Alitalia. Ipotesi a quanto pare tramontata visto che a stretto giro di posta dall’altolà tedesco al progetto Alitalia, è arrivato un altro niet, quello delle Fondazioni di origine bancaria riunite nell’Acri, azioniste al 18% di Cdp (il resto è in mano al Tesoro). Il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, è stato altrettanto fermo nel dichiarare come “Cdp non debba mettere un euro in Alitalia”. Ancora, Leonardo. L’ex Finmeccanica è stata talvolta indicata come un possibile azionista di peso nel capitale Alitalia. Ma sempre oggi da Piazza Montegrappa è filtrato il chiarimento: l’azienda guidata da Alessandro Profumo non avrà alcun ruolo nel dossier Alitalia. Stessa storia per Eni. “Non siamo stati coinvolti in alcuna operazione su Alitalia e l’ipotesi di un nostro ingresso nella compagnia è priva di fondamento”, ha spiegato un portavoce.

Rimane solo Ferrovie, 100% ministero dell’Economia e un partner privato destinato a un ruolo di minoranza (l’americana Delta, con ogni probabilità). Forse. Perché vanno chiariti due aspetti. Appurato che Luigi Di Maio e Matteo Salvini spingano per una nazionalizzazione pura (Alitalia è stata privatizzata a partire dal 1996), non è un caso che Lufthansa si sia tirata indietro. I tedeschi hanno sempre sostenuto che una delle condizioni per partecipare al capitale fosse una robusta ristrutturazione a cominciare dalla voce costi e dunque dal taglio del personale: 2mila esuberi almeno. Condizione da sempre respinta dall’esecutivo.

Figuriamoci se dunque Lufthansa avrebbe accettato un ingresso nell’azionariato di una compagnia, subendo tutt’altra visione industriale e per giunta con una quota di minoranza. Troppo da accettare per i tedeschi. A onor del vero già qualche settimana fa c’erano stati segnali di disimpegno tedesco. Pochi giorni fa la strategia del gruppo tedesco ha infatti messo al centro della crescita nel Sud Europa e quindi in Italia, la compagnia Air Dolomiti, al 100% controllata da Lufthansa, che ha base a Verona. Air Dolomiti ha ottenuto dalla casa madre un raddoppio della flotta (da 12 a 26 aerei) e un investimento pari a 100 milioni di euro nei prossimi anni con assunzioni previste per 520 persone.

A questo punto, viene da chiedersi spontaneamente quale compagnia aerea privata accetterà una presenza così ingombrante dello Stato? Non sarà facile trovare un soggetto disposto a condividere la strategia di Ferrovie, senza avere un vero grip sul destino della compagnia italiana, pur condividendone i costi e soprattutto le perdite, visto che i conti della compagnia sono sì migliorati grazie al lavoro della triade di commissari, ma il break-even è ancora qualcosa di molto lontano. easyJet e Delta potrebbero alla fine non essere così lungimiranti e fiduciosi nell’operazione.

Seconda riflessione, una volta che Ferrovie avrà messo le mani sul grosso delle azioni Alitalia, come si metterà con l’Europa. Il prestito ponte da 900 milioni (da restituire entro dicembre) concesso dallo Stato per far volare Alitalia è passato indenne sotto la lente dell’Ue cioè non è stato bollato come aiuto di Stato. Ma le cose con l’ingresso massiccio di una società al 100% dello Stato potrebbero cambiare. Ancora un ostacolo, che poi sarebbe anche il primo, il debito pubblico. Con una società ancora in perdita dentro il perimetro statale, lo stock non potrebbe che aumentare (ci sono anche i soldi per la semplice acquisizione). E anche questo non farebbe contenta l’Europa.

Non solo Lufthansa, perché la ricerca di un partner per Alitalia può essere complicata. Molto

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