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Sia chi pensa a un nuovo partito cattolico sia chi lo teme farà bene a leggere il nuovo numero di La Civiltà Cattolica, dove un articolo molto accurato sembra fornire risposte chiare. “In un tempo politico in cui l’arroganza del potere sfida i diritti e i doveri riconosciuti dalla legge, l’esperienza politica di 100 anni fa permette al mondo cattolico di ritrovarsi ‘in questa grave ora’ per essere ‘uniti insieme’ come voce dei deboli, garante dei diritti, alternativa alla società dei consumi e protagonista di un ‘umanesimo comunale’ da cui selezionare una nuova classe dirigente per una nuova stagione politica. Solo così – come è stato invocato da molti – potrà essere ascoltata nello spazio pubblico la voce della coscienza cristiana, che in Italia è ancora quella cattolica”.

Si conclude così l’importante articolo, firmato da padre Francesco Occhetta su La Civiltà Cattolica e dedicato al centesimo anniversario della fondazione del Partito popolare italiano per scelta e volontà di Don Luigi Sturzo. Un articolo che difficilmente può essere letto senza ricordare l’editoriale pubblicato nello scorso numero a firma del direttore, padre Antonio Spadaro, e intitolato “Tornare ad essere popolari.”

L’articolo ricostruisce l’esperienza sturziana di un secolo fa, sottolineando la differenza tra la visione di don Sturzo e quella di Romolo Murri: “Sturzo e i suoi collaboratori pensarono a un partito che avesse un’organizzazione interna leggera ma capillare – fatta di sezioni territoriali, comitati provinciali, un consiglio e una direzione nazionale, un congresso centrale – e in completa autonomia dall’autorità ecclesiastica per almeno tre motivi: 1) evitare di trascinare il partito nel terreno della Questione romana; 2) non omologarlo alla rete organizzativa dell’Azione cattolica del tempo; 3) non incorrere in condanne pontificie o in accuse di clericalismo e temporalismo. Tuttavia l’esperienza politica del Ppi non nasce al di fuori della vita della Chiesa, ma è il frutto di una ‘vocazione nella vocazione’ di Sturzo sacerdote. […] In quegli anni Sturzo aveva maturato – come prosindaco di Caltagirone (1905-20), vicepresidente dell’Associazione dei comuni italiani (1915-24) e segretario della giunta dell’Azione cattolica la consapevolezza che gli elementi di forza per la nascita del partito dovevano essere ‘la coesione spirituale’ e ‘la fiducia tra le persone sparse nei territori’. La dimensione della fede nella storia al servizio della giustizia differenziava Sturzo da Romolo Murri, ultramontanista e confessionale, per il quale le caratteristiche dell’appartenenza religiosa e morale erano gli elementi identificativi del movimento democratico-cristiano che egli aveva fondato qualche anno prima”. Questa differenza appare fondamentale, visto che analizzando il lascito dell’esperienza sturziana un secolo dopo padre Occhetta scrive: “Che cosa rimane oggi dell’esperienza del Ppi? Il desiderio di far nascere un nuovo partito unico dei cattolici? Anzitutto rimane un metodo: per Sturzo, a differenza di Murri, occorreva formare le coscienze dei cattolici prima di entrare nel campo politico; altrimenti, il potere – la destra di allora – avrebbe finito per cooptare i cattolici non formati. Per questo egli puntava sulla formazione di persone scelte, per dare voce ai poveri, secondo l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Il popolarismo era per lui l’antidoto al populismo, grazie all’arte della mediazione, allo sviluppo costituzionale, alla difesa dell’iniziativa privata, alla centralità delle autonomie locali”.

Per leggere bene e capire cosa dice La Civiltà Cattolica con questo articolo di padre Occhetta è opportuno tornare al numero scorso, all’editoriale del direttore, quello in cui si indicava la necessità di andare oltre i caminetti degli illuminati, riconnettendosi: “Per reagire, dunque, occorre prima di tutto riconnettersi con la società civile, con i ‘ceti popolari’, ricostruire la relazione naturale con il popolo. Questa la parola: riconnettersi. Insomma, bisogna tornare a essere popolari”. E padre Occhetta dice forse qualcosa di più esplicito: “L’eredità del Ppi a 100 anni dalla nascita fa passare in secondo piano il quid (il ‘che cosa’), e pone in rilievo il quis (il ‘chi’): i cattolici in politica dovrebbero essere riconoscibili non da un contenitore, ma dal loro atteggiamento spirituale e interiore; i politici che vivono la politica da cattolici non si devono porre solo il problema di ‘cosa’ essere, ma di cosa fare e verso dove andare. L’irrilevanza politico-partitica di un ‘elettorato cattolico’ distribuito ormai fra tutte le forze politiche non sarebbe tanto grave quanto un’irrilevanza prima di tutto di opinioni e di idee, di proposte concrete e di contenuti. Scommettere sulla formazione di una nuova classe dirigente è possibile, ma occorre creare un patto tra le generazioni di cattolici, perché la vera sfida di oggi non è tanto l’unità politica dei cristiani, quanto come costruire l’unità nel pluralismo”.

 

I cattolici e la politica popolare 100 anni dopo il Ppi

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