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Se il partito comunista è arrivato a tanto, allora vuol dire che la situazione è di quelle critiche. I giganti del mattone continuano a cadere come birilli, sotto il peso di un debito sfuggito di mano molto tempo fa. E proprio nei giorni in cui Pechino si appresta a celebrare i dieci anni della Via della Seta, il progetto infrastrutturale cinese dal vago retrogusto di neocolonialismo economico, anch’esso contagiato e infiacchito dal virus del debito. Bisogna evitare, questo sembra essere il nuovo imperativo nelle stanze del governo, che dopo il mattone tocchi alle banche cominciare a sfaldarsi.

E allora, ecco la mossa che certifica tutta l’impotenza del governo verso una crisi sempre più profonda. Per la prima volta dal 2015, il fondo sovrano cinese ha incrementato la sua partecipazione nelle principali banche del Paese, dando vita a speculazioni sulle possibili strategie di sostegno al mercato azionario in calo.

Il Central Huijin Investment, il gigantesco fondo cinese, ha acquistato per esempio circa 65 milioni di dollari in azioni di Bank of China, Agricultural Bank of China, China Construction Bank e Industrial and Commercial Bank of China. E non è tutto. Huijin, che ha una potenza di fuoco da 1.400 miliardi di dollari, ha in programma di aumentare ulteriormente le sue partecipazioni nel corso dei prossimi sei mesi. L’effetto psicologico sembra essere stato innescato.

Ora dopo ora cresce infatti il numero di economisti ed hedge fund cinesi che invitano il governo ad intervenire direttamente con un fondo di stabilizzazione per l’acquisto di azioni, una mossa che le autorità hanno evitato, come detto, dal crollo del mercato del 2015. I vertici cinesi, infatti, sono sempre più preoccupati per la traiettoria della seconda economia mondiale, alle prese con la crisi immobiliare e le pressioni deflazionistiche che mettono a rischio l’obiettivo di crescita annuale del 5% circa. Ma come leggere tutto questo?

Ci ha pensato un osservatore attento come il Financial Times a mettere in controluce il tutto. Il fatto che il maxi fondo sovrano, dopo quasi nove anni, sia intervenuto per mettere in sicurezza il sistema bancario, vuol dire solo una cosa: che l’economia cinese ha raggiunto il punto limite, che sarà difficile tornare indietro. E che il mercato non risponde più, che da solo non basta a reggere l’economia. Che, insomma, serve lo Stato, altrimenti salta tutto. Lo dimostra anche un altro fatto. Evergrande, il maggiore gruppo immobiliare del Paese non emetterà più debito. Perché nessuno lo compra più.

Così il fondo sovrano cinese salva le banche. E non è un bel segnale

Il braccio operativo del partito in poche ore ha rastrellato ingenti pacchetti di azioni delle principali banche del Dragone, operando un salvataggio in piena regola che in Cina mancava da nove anni. La prova che il mercato da solo non basta a sostenere l’economia cinese. E che senza lo Stato Pechino non ha futuro

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