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In Arabia Saudita, re Salman ha deciso un rimpasto di governo che ha toccato alcuni organi e ministeri chiave, con nuove entrate legate al principe ereditario Mohammed bin Salman, e riqualificazioni di elementi estromessi dal circolo del potere dalla rincorsa dello stesso erede al trono. Questo genere di vicende che avvengono a Riad hanno un forte valore internazionale, perché interessano la principale potenza mediorientale e uno dei più potenti investitori globali.

Il passaggio politico arriva a distanza di due mesi dal caso Khahoggi, l’assassinio dell’editorialista saudita del Washington Post che si era rifugiato a vivere in Virginia perché temeva per la sua sicurezza, fatto fuori nel consolato del suo Paese a Istanbul da un squadraccia dei servizi segreti inviata da Riad. E forse le due questioni sono collegate.

Secondo alcune ricostruzioni il mandante ultimo dell’omicidio è stato MbS, il principe ereditario, che considerava Jamal Khashoggi un nemico – perché era un critico del nuovo corso del potere incarnato dall’erede – e stava costruendo un movimento di opposizione. La vicenda ha danneggiato gravemente l’immagine internazionale del principe Mohammed come leader di un progetto visionario e futurista, impegnato in un tipo di cambiamenti che gli alleati dell’Arabia Saudita in Occidente avevano a lungo sperato. Riad ha gestito la situazione con imbarazzo, ma forte delle sponde internazionali offerte da Stati Uniti, Cina e Russia, che hanno sempre cercato di allontanare sospetti e coinvolgimenti dalla corte, proteggendo bin Salman.

“Il reshuffle ha tre direttrici: è un tentativo di assicurare e proiettare stabilità, è una prova di forza di MbS, ed è anche un mezzo passo indietro nel tentativo di allargamento del powersharing con terze generazioni”, ci spiega Cinzia Bianco, Phd Candidate all’Università di Exeter, e analista della società Gulf State Analytics (azienda internazionale che si occupa di fornire consulenze sui Paesi del Golfo per politici e businessman).

Partendo dal terzo aspetto, ci sono cariche che per ora hanno un valore quasi secondario, ma che potrebbero essere molto utili per il futuro di bin Salman, giusto? “Se guardiamo le nuove nomine a livello di governatori di provincia e incarichi locali sono tutte di reali giovani, bilanciate tra i tre clan della famiglia al Saud (quella regnante, ndr): i bin Talal, bin Faisal e bin Bandar, cugini diretti e più o meno coetanei dell’erede al trono. E andranno a sostituire persone piuttosto più anziane, che in alcuni casi non erano dei reali: questo significa che fondamentalmente si torna alla tradizione, che era quella di avere un potere molto condiviso all’interno della famiglia reale, tra i vari clan. È un mezzo passo indietro perché è un ritorno al passato nella suddivisione del potere, che però (ecco perché mezzo, ndr) riguarda persone giovani”.

Perché sta succedendo questo? “Probabilmente perché si pensava che all’interno della grande famiglia reale l’affaire Khashoggi potesse creare malumori e risentimenti contro bin Salman, che ci sono stati in effetti. Il powersharing famigliare permette a più persone della casa regnante di ricoprire posizioni di responsabilità, che non sono però così decisive e incisive al punto da danneggiare il potere centrale del trono e del suo erede”.

Questo, spiega Bianco, è stato il sistema di bilanciamento interno che ha accompagnato la storia del regno saudita, ma ora ha uno sviluppo proiettato nel futuro. “Tutto va visto in previsione del momento della verità nell’Allegiance Council: ossia, man mano che questi giovani consolideranno le proprie posizioni nel sistema di potere del regno, andranno a sostituire i loro padri nell’Allegiance Council, che è l’organo che determina definitivamente il processo di successione al trono. E questo significa che teoricamente quando arriverà il momento fatidico della morte di re Salman e dovrà essere votata la conferma per l’erede al trono, MbS vi troverà nel consiglio diversi alleati”.

Perché il rimpasto assicura e proietta stabilità? “Prendiamo la nomina di Ibrahim Assaf, ex ministro delle Finanze, agli Esteri: Assaf è uno della vecchia guardia, ma uno dei pochi che ha abbracciato la Vision 2030″, che è il progetto dell’erede bin Salman per proiettare nel futuro l’Arabia Saudita, passando anche dalla differenziazione economica dal petrolio.

Assaf è una figura che gode di rispetto e considerazione tra le élite internazionali, ma lo scorso anno era stato oggetto del repulisti interno imposto da MbS ed era finito rinchiuso agli arresti al Ritz-Carlton di Riad. Una mossa pubblicizzata dal principe ereditario come lotta estrema alla corruzione semplificata nel vecchio sistema politico-economico, ma che in molti analisti lessero come una sorta di campagna contro gli oppositori interni al vecchio establishment. Ora Assaf è oggetto di una riqualificazione che è già toccata ad altri, come nel caso di Al-Waleed bin Talal, altro principe e imprenditore globale, che ha accompagnato il futuro re durante la Davos del Deserto di fine ottobre; o come  Khalid bin Talal, nipote del re, scarcerato dopo 11 mesi di reclusione sotto l’accusa di corruzione.

“Un’altra vecchia guardia rimessa in un ruolo centrale, a capo della Sicurezza nazionale, è Musaed al-Aiban, mentre per quanto riguarda quel che intendo con una prova di forza di MbS – continua Bianco – mi riferisco all’incarico dato ad Abdullah bin Bandar, considerato un fidato del principe ereditario, che prenderà il comando della Guardia nazionale saudita, il corpo militare che ha il compito di proteggere la sicurezza della famiglia reale”.

Una fonte con ottimi rapporti col Golfo, fa notare confidenzialmente che all’interno del rimpasto c’è anche spazio per posizioni “moderate”, rappresentate soprattutto dagli uomini del clan Waleed e Faisal (Turki); “Era lo stesso patriarca, l’ottantasettenne Talal bin Abdulaziz morto in questi giorni, ad essere un modernista, un riformatore che pensava addirittura a una forma di monarchia costituzionale”.

E di queste posizioni “moderate e futuriste”, spiega la fonte, fa parte il nuovo ministro per i Media, Turki al-Shabanah, che è anche chairman di Rotana Group, la principale compagnia di entertainment del mondo arabo, di proprietà del principe Al Waleed. “Il ministro dei Media sarà una figura chiave per le pubbliche relazioni globali”, aggiunge, e avrà un luogo ancora più centrale adesso che MbS deve recuperare terreno a livello di immagine, dopo che con la vicenda Khashoggi ha messo in imbarazzo anche i suoi cittadini, soprattutto i giovani a cui la sua scalata ha regalato un sogno.

 

arabia saudita

Il rimpasto saudita. MbS e la Riad del futuro

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