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Una regolamentazione sul piano del collegamento dei reati commessi in relazione ai contenuti veicolati dai social media è “difficilmente realizzabile”, dice Antonio Teti, professore dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, commentando l’arresto a Parigi di Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram.

La vicenda può cambiare il potere dei social?

Innanzitutto, occorre chiarire un aspetto: l’arresto di Durov assume la connotazione di un evento epocale: è ormai chiaro che tutti coloro che giocano un ruolo rilevante nello spazio informativo internazionale, possono rappresentare un pericolo per la stabilità politica ed economica di un Paese. Di conseguenza, ne deriva che non è più sicuro per loro spostarsi da una nazione all’altra senza incorrere in rischi derivanti dalle attività di divulgazione informativa condotte nel corso del tempo. Ciò che tuttavia appare anomalo nel caso Durov, risiede nella sua consapevolezza del fatto che l’approdo in Francia avrebbe provocato il suo arresto. Va evidenziato che il creatore di Telegram potrà essere trattenuto per essere interrogato per un massimo di 96 ore, dopodiché dovrà essere incriminato o rilasciato. A tal riguardo, sorgono spontanee alcune domande.

Quali?

Che cosa abbia indotto Durov a consegnarsi alle autorità governative francesi ben sapendo del mandato di cattura spiccato nei suoi riguardi? In funzione del possesso della cittadinanza russa, francese, emiratina e di Saint Kitts and Nevis, perché mai egli si sarebbe consegnato ai francesi ben sapendo che proprio il passaporto francese gli avrebbe precluso qualunque ipotesi di scambio o estradizione una volta finito nelle mani di Parigi? Non ultimo per importanza: che cosa avrebbe prodotto il probabile incontro che lo stesso Durov avrebbe avuto con Vladimir Putin in Azerbaigian, luogo in cui si sono recati entrambi nelle settimane scorse? Va ricordato che Durov era entrato in contrasto con la Russia dopo essersi rifiutato di consegnare al Cremlino l’accesso alle electronic keys che avrebbero consentito di leggere i messaggi privati di Telegram e che lo stesso social media, a partire dall’inizio del conflitto russo-ucraino nel 2022, ha assunto il ruolo della principale fonte di contenuti non filtrati e spesso oltremodo espliciti da entrambe le parti coinvolte nel conflitto.

In che modo?

L’app è molto utilizzata sia dai russi sia dagli ucraini, e lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky è un attivo fruitore. A ciò si aggiunge la presa di posizione di diversi Paesi europei che hanno espresso forti preoccupazioni in merito alla sicurezza e alla riservatezza dei dati gestiti da Telegram. Come premesso, l’arresto di Durov rappresenta un segno di cambiamento molto forte da parte di uno Stato sul considerevole potere di propaganda e condizionamento psicologico attualmente esercitato dai social media. Ciò potrebbe condurre a una reazione a catena anche da parte di altri Paesi nel controllo dei contenuti dei social media, e ciò andrebbe certamente a scapito della libertà di espressione da parte delle persone.

Crede che la vicenda sottolinei la necessità di una regolamentazione che dia agli Stati maggiori poteri nei casi in cui vengono commessi reati?

Ritengo che una regolamentazione sul piano del collegamento dei reati commessi in relazione ai contenuti veicolati dai social media sia difficilmente realizzabile, in misura maggiore a livello mondiale. Faccio un esempio che potrebbe sembrare estremo, ma che ritengo estremamente esplicativo: blocchiamo la vendita di coltelli a livello planetario in funzione del loro utilizzo in ambito criminale? E poi non dobbiamo dimenticare che i social media rappresentano, per esempio, anche uno straordinario strumento di ricerca di informazioni per le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence nazionali, sia per quanto concerne il contrasto alla criminalità e al terrorismo internazionale che per rafforzare il livello di sicurezza nazionale. L’arresto di Durov è già stato criticato fortemente a livello internazionale, e ritengo, come asseriscono anche autorevoli esperti giuristi, che il creatore di Telegram sia difficilmente perseguibile per i reati che sono stati contestati.

Secondo il capo del Centro per la lotta alla disinformazione dell’Ucraina, Andriy Kovalenko, l’arresto “può essere paragonato all’hackeraggio di Enigma da parte degli inglesi durante la Seconda guerra mondiale”. Addirittura, secondo Kovalenko, “il caso Durov potrebbe anche far crollare l’intera rete di agenti russi in Europa”. È davvero così o le sue dichiarazioni sono infowar?

Telegram è un servizio di messaggistica istantanea e broadcasting utilizzato da oltre un miliardo di utenti. Ha assunto un ruolo da protagonista assoluto nell’ultimo decennio soprattutto nello scambio di contenuti da parte di organizzazioni criminali e terroristiche, ma anche in altri ambiti, come quello dello spionaggio e del controspionaggio. Introdursi all’interno dei messaggi gestiti da Telegram significa accedere a informazioni che possono assumere un valore enorme per qualsivoglia Stato o organizzazione. Non è neppure da escludere l’ipotesi che l’arresto di Durov possa condurre a un accordo in tal senso.

Il media Baza ha rivelato che diversi funzionari governativi, delle forze di sicurezza e dell’amministrazione presidenziale russa hanno ricevuto istruzioni per rimuovere la loro corrispondenza ufficiale da Telegram. Che cosa potrebbe temere ora il Cremlino?

Difficile dirlo. Dipende dal tipo di utilizzo del social media attuato dai russi nel corso degli anni. Certamente se la rivelazione di Baza dovesse contenere elementi di attendibilità, ciò potrebbe produrre non pochi problemi al Cremlino, soprattutto sul piano della diffusione di informazioni che potrebbero essere collegate soprattutto a scenari politici, economici e militari. Purtuttavia sono diversi gli aspetti su cui dovremmo condurre un’attenta riflessione: la prima risiede nell’azione condotta dalla Francia, nell’arresto di Durov, un russo, creatore e titolare di un social media non americano, azione che di fatto sta influenzando l’utilizzo di Telegram come strumento di comunicazione. Ad aprile scorso, Biden ha siglato un provvedimento che pretende che ByteDance, la compagnia cinese che controlla TikTok, ceda (entro 270 giorni) il social network a una società americana oppure cessi le sue attività sul suolo americano. L’India ha già bloccato il social media cinese, e il 5 agosto scorso la Commissione europea ha reso vincolante l’impegno di TikTok a ritirare definitivamente dall’Unione europea il programma “TikTok Lite Rewards” per garantire il rispetto del regolamento sui servizi digitali. Per inciso, tale applicazione consentirebbe a un utente di guadagnare dei crediti sulla base del numero degli inviti che egli formulerebbe verso altri utenti per collegarsi alla piattaforma. In conclusione, la domanda da porsi è quale sia il limite della censura e il controllo delle informazioni e come difendere la libertà nella diffusione dei contenuti e la trasparenza delle informazioni.

Perché l’arresto di Durov è una svolta epocale. Lo spiega il prof. Teti

Sulla vicenda del fondatore di Telegram, il docente all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara avverte: nonostante sia complessa da realizzare, la regolamentazione dei contenuti social è al centro del dibattito, con profonde implicazioni per la sicurezza nazionale e la libertà di espressione

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