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Soros è uno degli uomini di finanza più controversi e di certo non difetta di franchezza. Lui – fautore di una linea pro migranti – non le manda a dire e ieri, ospite del Festival dell’Economia, non ha fatto eccezione. “Salvini a libro paga di Putin” ha accusato sottolineando il dato, innegabile, della relazione della Lega con il Cremlino e prendendo per buone le indiscrezioni di possibili aiuti economici di Mosca. La questione è così tanto rilevante che non ci si può nascondere dietro un dito. Soros è accusato lui stesso di essere un campione di interferenze ed è la persona meno titolata a lanciare accuse o formulare giudizi. Libero di farlo ovviamente, ma l’ingerenza è inopportuna.

Nel merito va detto che l’opinione, assai diffusa, di un sostegno economico da parte di soggetti vicini a Putin a favore della Lega non ha trovato riscontri oggettivi sufficienti. D’altra parte, l’argomento è solo parzialmente interessante. I fatti noti e incontrovertibili sono sufficienti ad avere una idea chiara e trasparente. Negli anni di Bruxelles in cui Salvini è stato al Parlamento eurupeo, gli uomini di Mosca hanno coltivato una serie di rapporti con i principali riferimenti delle forze politiche cosiddette anti sistema (anti establishment, sarebbe più corretto). È stato costruito un vero e proprio network di cui il leader leghista è espressione non minore. Il “patto” di amicizia è stato anche suggellato formalmente e senza misteri. La Lega è legata (si perdoni il gioco di parole) a Russia Unita, il partito di Putin, con un “contratto” che prevede peraltro lo scambio di informazioni. È tutto nero su bianco e corrisponde ad una precisa scelta politica. Se a questa corrisponde anche un flusso finanziario è quasi irrilevante dal punto di vista politologico.

La scelta di campo diamantina è confermata anche dal contratto di governo sottoscritto da Salvini e Di Maio e che è a fondamento del nuovo governo. Anche se è stata ammorbidita la frase sulle sanzioni contro la Russia, la sostanza è chiarissima. La coalizione gialloverde ha spostato Roma sull’asse euroasiatico (tradotto: filo russo) come mai accaduto nella storia repubblicana dell’Italia. In questo senso le sanzioni sono solo un aspetto della questione e forse quello meno rilevante. Le policy pro Cremlino del governo Conte possono infatti essere molte. Lo stesso eventuale e malaugurato stop al gasdotto Tap sarebbe un danno all’indipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa ed un regalo ai russi. Altro nodo, già arrivato al pettine, riguarda la partecipazione del Paese alla missione militare in Afghanistan. La ministra Pinotti aveva già deciso un ridimensionamento del nostro contingente, producendo più di un mal di pancia a Washington. Ora si parla di ritiro, benché graduale. La ministra Trenta è stata già accusata di relazioni filorusse per via di un accordo fra la Link Campus (ateneo dal quale proviene) ed una università della ex Urss e considerata vicina a Putin. Anche in questo caso il sospetto appare forzato e persino irrilevante. Se la neo ministra della Difesa procederà nel ridimensionamento delle missioni internazionali a partire da Kabul si determinerà una rottura vera con il Pentagono e l’amministrazione Usa. Altro che Link Campus.

Il tema potrebbe non essere colto nella sua serietà, ma lo sarà per la gravità degli effetti prodotti. Soros o non Soros, finanziamenti illeciti o non, la Lega (con il M5S) sarà presto chiamato nei fatti a rivelare quanto l’appartenenza dell’Italia all’Alleanza Atlantica e quanto invece conta la loro amicizia nei confronti della Russia e del suo zar. Tertium non datur.

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