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Tutte le strade portano all’Ilva. Mentre Lega e Movimento 5 Stelle cercano la quadra sul contratto di governo, sull’acciaieria di Taranto continuano a volare gli stracci tra una sponda e l’altra del Pd. Premessa, il Movimento 5 Stelle sarebbe per la chiusura o alla meglio la riconversione, la Lega non ne vuol sentire parlare. E forse la spunterà sui grillini.

Ma è dentro il Pd che l’Ilva ha innescato l’ennesima guerra fratricida. Da una parte il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, fresco di rottura delle trattative coi sindacati (per chiudere la partita Ilva e dare il via al risanamento e al rilancio del sito manca solo l’accordo sindacale, poi Mittal avrà campo libero) e di scontro a mezzo twitter con uno dei sindacati più in sintonia con Calenda, la Fim Cisl di Marco Bentivogli (qui l’approfondimento di Formiche.net). Dall’altra, Michele Emiliano, capofila della pattuglia dem contro le modalità di risanamento predisposte dal governo (impugnate dinnanzi al Tar di cui si attende la pronuncia) e il piano industriale targato Arcelor Mittal, giudicato troppo poco rispettoso della salute e dell’ambiente.

Ad accendere la miccia, già in clima surriscaldato, proprio Calenda, che ha spostato il tiro dai sindacati al Pd. Quel Pd che ancora difende Emiliano. “È quello che è: una mattina vuol chiudere l’Ilva (Emiliano, ndr) e la mattina dopo incontra Mittal, un giorno accusa il governo di essere al soldo delle lobby e poi richiama Renzi alla correttezza. Ma il problema non è lui, è il Pd che lo tollera, lo blandisce e non dice una parola”.

Pronta la fucilata di Emiliano. “Quel ministro ha fallito non solo perché è un incapace (può succedere che un incapace divenga ministro senza la benché minima esperienza politica e senza avere mai vinto un’elezione), ma soprattutto perché non si è mai fatto carico dei sentimenti e degli interessi né dei cittadini tarantini né dei lavoratori dell’Ilva”, ha scritto su Facebook il governatore pugliese. Prendendosela anche con chi, nel Pd, ha tentato di assolvere Calenda sul disastro dell’Ilva.

“Devo constatare che il Ministro dello Sviluppo economico, dopo il disastro procurato nella trattativa Ilva Taranto, seguita ad analogo disastro nella vicenda Alitalia, chiede ed ottiene solidarietà per le mie dichiarazioni, da alcuni esponenti del Pd, partito al quale si è iscritto dopo le ultime elezioni nelle quali ha sostenuto invece la Lista Bonino. Sono molto irritato con il Pd e con i governi del Pd per quanto concerne la vicenda Ilva Taranto”.

Il governatore della Puglia doveva avere bene in mente i nomi di chi, a suo dire, difende l’indifendibile. Perché a stretto giro di posta ecco che attorno a Calenda e al Pd di governo si è alazato il muro di Claudio De Vincenti, ministro per la Coesione, e Teresa Bellanova, numero due dello Sviluppo.  Se  Emiliano “è irritato io sono disgustata, oltre che stufa di leggere le sue sciocchezze e le sue provocazioni. Vale la pena ricordare che la Regione Puglia non è mai stata estromessa dalla trattativa, che era e rimane tra azienda e parti sociali. Non so quante volte abbiamo invocato e auspicato la leale collaborazione istituzionale, smentita da dichiarazioni, prese di posizioni, atti politici e giudiziari”, ha attaccato Bellanova.

“Viceversa non abbiamo mai, dico mai, in mesi e mesi di lavoro durissimo e delicatissimo, sentito dal presidente Emiliano, per cui chiudere l’Ilva non era un tabù, come intendesse affrontare il destino dei lavoratori e delle loro famiglie, la bonifica dell’area, la perdita di competitività del paese. Abbiamo ascoltato solo un blaterare continuo, buono esclusivamente per la scena mediatica e il posizionamento politico, totalmente ineffettuale per la qualità della trattativa. Una cosa deve essere ben chiara: chiunque governerà questa trattativa il Pd, e io personalmente, resteremo al fianco dei lavoratori del siderurgico e dei cittadini di Taranto per trovare la soluzione ad una delle più ardue e difficili partite imprenditoriali della storia italiana recente”.

Non che De Vincenti ci sia andato più leggero. “Ancora una volta Emiliano si lascia andare a dichiarazioni farneticanti. Sia chiaro che mentre il ministro Calenda e i governi Renzi e Gentiloni hanno operato per garantire insieme le prospettive produttive dell’Ilva e l’occupazione dei suoi lavoratori insieme con la tutela della salute e dell’ambiente, c’è chi come il presidente della Puglia ha fatto di tutto per mandare a fondo l’Ilva e compromettere il futuro di Taranto e con esso quello di tutti gli stabilimenti del gruppo. È una vergogna che oggi si permetta di attaccare chi, come il ministro Calenda, il governo e il Partito Democratico, hanno operato a difesa degli interessi dei lavoratori e del Paese”.

Ma che cosa dice invece il reggente del Pd, Maurizio Martina. Forse a lui spetterebbe fare giustizia sommaria di questa diatriba. E invece per ora il segretario dem si è limitato a dire, laconicamente che sì, la proposta del governo sui lavoratori era seria, invitando le parti (sindacati in primis) a tornare al tavolo. “Il nostro appello è che tutte le parti tornino al tavolo del confronto e chiudano positivamente questo sforzo nell’interesse dei lavoratori coinvolti e delle loro famiglie, del territorio interessato e della sua salvaguardia ambientale e di tutto il Paese”.

Nota bene. Chiudere l’Ilva costerebbe al Pase 1 punto di Pil e quasi un miliardo. E 14 mila posti di lavoro.

ilva di maio istat

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