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II problema centrale del capitalismo non è “capitalismo: sì o no?”, ma piuttosto “quale capitalismo?”. La business ethics diventa così un modo per valutare le qualità del capitalismo stesso, per distinguere tra un capitalismo “decente” e uno “deprecabile”.
Il contributo teorico più importante della business ethics è costituito senza dubbio dalla creazione – nella prima metà degli anni Settanta, negli Stati Uniti – del paradigma della stakeholder analysis. La stakeholder analysis decostruisce la teoria classica dell’impresa come “gerarchia” a leadership proprietaria – in mano agli “shareholders”- per ricostruire la teoria dell’impresa in forma più aperta, come una sorta di contratto tra i portatori di tutti gli interessi toccati dall’impresa stessa nel suo funzionamento normale.

Hanno così diritto di parola e voce non solo i proprietari, ma anche lo staff, i clienti, la pubblica amministrazione, la comunità che ospita le imprese e l’ambiente naturale stesso. Tutto ciò riformula la teoria dell’impresa in maniera coerente con il nostro sistema economico e politico: voto e democrazia sono meccanismo bottom up, e l’impresa non può perpetuarsi come unico meccanismo top down. La rivoluzione importata in questo dominio dalla stakeholders analysis rende coerenti i meccanismi dell’impresa con quelli del capitalismo democratico.

Per quel che ne so, il primo seminario in cui si trattò sistematicamente il tema della business ethics in Italia fu quello organizzato – a Politeia a Milano, nella prima metà degli anni Ottanta – da Francesco Forte e da me stesso.

Dopo il lancio teorico e la disseminazione della business ethics nel nostro paese, si attendeva un processo di istituzionalizzazione progressiva di quei meccanismi nella realtà nazionale. Come capita, l’occasione venne da un avvenimento esterno e importante, Tangentopoli. Fu infatti dopo lo scoppio di Tangentopoli che Confindustria affidò alla mia direzione l’elaborazione di un codice etico generale per le imprese italiane. Si trattava in realtà di una sorta di meta-codice, che fece comunque seguito a un lavoro di squadra serio e approfondito. I principi e le norme del testo allora elaborato sono ancora oggi di qualche utilità teorica e pratica.

Poco dopo, il Ministro della Funzione Pubblica Cassese mi affidò una ricerca sull’etica della pubblica amministrazione e la Cispel un codice di comportamento per le municipalizzate italiane. In questo modo la stagione della istituzionalizzazione progressiva prendeva le mosse nel sistema privato dell’impresa e in quello pubblico delle istituzioni. Negli anni seguenti, una serie continua di codici etici, di bilanci di sostenibilità, di comitati etici si incaricheranno di istituzionalizzare sempre più la business ethics nel panorama italiano.

Oggi come oggi, temi come quelli di business ethics, sostenibilità e responsabilità sociale di impresa sembrano rappresentare più la regola che l’eccezione nel mondo internazionale del lavoro, della produzione e della finanza. Più di 30 trilioni di dollari -una cifra da capogiro- sono investiti in fondi di investimento che pretendono di misurare il lavoro delle imprese in termini di prestazioni Esg, l’acronimo per Environmental, Social, and Governance. Che poi vuol dire sostenibilità sociale più rispetto per l’ambiente più governance equanime. Testimonianza evidente di questo virtuoso andazzo è la lettera annuale di BlackRock, forse il più ricco fondo di investimento del mondo, che da qualche tempo impone alle imprese sostenibilità a tutto tondo. In sostanza, quella della sostenibilità generale, come si può chiamare

Esg, sembra l’avanguardia di una rivoluzione concettuale e pratica a livello globale. Questo fatto, in quanto tale non controverso, non esclude però dubbi a tutto campo. Da destra, il perbenismo della sostenibilità generale viene visto come l’ennesimo rampollo di quella cultura politically correct che i benpensanti liberal vorrebbero imporre. Mentre -sempre i conservatori sostengono- da che mondo è mondo “business of business is business”, e il resto è fuffa. Da sinistra, invece, spesso e volentieri si ritiene che la sostenibilità sarebbe cosa fantastica, ma solo se presa sul serio e non resa obbligatoria dai fondi. Per cui, gran parte della sostenibilità attualmente all’opera finisce con l’essere più che altro facciata, una spolverata di buona volontà o -come si dice- mero greenwashing.
L’urgenza di una riflessione ulteriore su etica e impresa parte anche dal presupposto che il mondo del business sia stato profondamente cambiato dalla rivoluzione digitale. Sarebbe a dire dall’impatto sempre più pervasivo che la digitalizzazione ha rappresentato per la sfera della produzione. Siamo dunque obbligati a confrontarci con una duplice trasformazione (la cosiddetta “twin revolution”) che riguarda da un lato la sostenibilità e dall’altro il digitale (tema quest’ultimo che è stato al centro del Festival di Etica pubblica del 2022). Proprio sulla doppia rivoluzione digitale-sostenibilità bisogna interrogarsi in profondità.

La digitalizzazione, come sappiamo tutti, ha trasformato il mondo in cui viviamo. A cominciare dal business per andare alla politica. Ma, così facendo, ha anche cambiato gli atteggiamenti prevalenti e i bisogni rilevanti degli esseri umani. Nelle imprese, sono cambiati gli spazi, che -con gli anni- diventano più piccoli e più tecnologici. Per le persone, è mutata la concezione del tempo: sempre più i lavoratori vogliono dividere le loro giornate tra tempo di lavoro e tempo a casa in maniera diversa da prima. Tuttavia, se in azienda stai meno tempo di prima, devi recuperare il senso di comunità e appartenenza in modi nuovi. Al tempo stesso, le diseguaglianze sociali ed economiche continuano a crescere. Ma tutto ciò richiede una nuova sostenibilità sociale
Più di ogni altra cosa, una ricerca seria sulla sostenibilità generale deve entrare nel merito di un problema fondamentale.

La sostenibilità generale è un modo per fare quotare l’impresa meglio sul mercato, oppure invece esprime un cambiamento profondo di attitudini che, in nome di risultati che giovano alla comunità, può condurre anche a esiti che danneggiano gli azionisti? Problema questo che mette in evidenza il delicato rapporto tra sostenibilità generale e etica La cui risposta dovrà nel prossimo futuro diventare da questione filosofica pratica vissuta. Pena l’irrilevanza sostanziale della sostenibilità generale.
Ethos – Festival dell’Etica Pubblica 2023 “Be new, Be now” – II° edizione, dal 6 all’8
ottobre 2023 all’Auditorium Parco della Musica e in collaborazione con Fondazione
Musica per Roma, affronterà, con l’aiuto di imprese, studiosi e protagonisti della vita
pubblica, questi temi a partire dal lavoro svolto da Ethos e Young Ethos nel corso
dell’ultimo anno.

Vi spiego il ruolo della business ethics nelle imprese di oggi. Scrive Maffettone (Luiss)

Di Sebastiano Maffettone

Oggi come oggi, temi come quelli di business ethics, sostenibilità e responsabilità sociale di impresa sembrano rappresentare più la regola che l’eccezione nel mondo internazionale del lavoro, della produzione e della finanza. Più di 30 trilioni di dollari sono investiti in fondi di investimento che pretendono di misurare il lavoro delle imprese in termini di prestazioni Esg, l’acronimo per Environmental, Social, and Governance. Scrive il direttore di Ethos-osservatorio di etica pubblica della Luiss

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