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L’agenzia di stampa saudita Spa, emanazione della casa reale, ha fatto sapere che Salman ha firmato alcuni decreti reali con i quali ha rimosso i vertici dell’esercito, nuovi ministri e governatori. Tra le persone rimosse il capo di Stato maggiore delle Forze armate, il generale Abdulrahman bin Saleh bin Abdullah Al-Bunyan, e il comandante dell’aeronautica saudita; esautorati anche altri funzionari, tra cui il comandante delle Forze di  terra, il  vice ministro degli Interni e il vice ministro degli Esteri; e il principe Fahd bin Badr bin Abdulaziz Al Saud, che sarà tolto dal ruolo di governatore della regione di al-Jawf e sostituito da un cugino diretto, intimo, dell’erede al trono.

Dietro ai nomi, l’intricato intreccio che si sta dipanando alla corte di Riad, dove Mohammed bin Salman (di seguito anche MbS), figlio dell’attuale re, mesi fa s’è fatto nominare erede al trono – scansando il cugino, teoricamente legittimato nella successione dinastica prevista dal regno saudita. MbS è ideatore, promotore, fautore, di un imponente piano di rinnovamento del paese, che va dalla differenziazione economica dal petrolio all’ammodernamento in fatto di diritti civili, arrivando inevitabilmente per una sorta di rottamazione del vecchio establishment, e conseguente pulizia nei gangli del potere (politico ed economico) attorno al trono.

Un piano maestoso, che per forza di cose deve passare dal settore sicurezza: bin Salman sa che per lavorare politicamente deve avere a fianco a sé tutti i vertici delle forze armate e dei servizi. Deve essere protetto da una bolla di fedeltà, ci spiega una fonte che sceglie l’anonimato perché in contatto con il business saudita in Italia, e dunque in una posizione sensibile.

Riad e Roma sono in contatto: per esempio, in questi giorni il sottosegretario agli Affari esteri italiano, Vincenzo Amendola, ha visitato il Centro internazionale (Itidal) specializzato nella lotta all’estremismo ideologico e al fondamentalismo veicolato tramite i media e le nuove tecnologie che ha sede a Riad (Amendola era capofila di un gruppo di membri della commissione Difesa del Senato italiano, tra cui il presidente Nicola Latorre). I contatti tra Italia e Arabia Saudita si basano sulla condivisione di esperienze di intelligence e militari, su investimenti e partnership che nel futuro – prossimo governo permettendo – si potrebbero consolidare.

MbS ha fatto una prova di forza quando ha ordinato la serie di incarcerazioni durante la retata anti-corruzione che mesi fa ha coinvolto anche notabili del regno – e del sistema di potere che lo avvolge – e “ha verificato quanto l’apparato di sicurezza gli è fedele, e chi lo sarebbe stato in futuro”, ci dice il contatto di Formiche.net, perché di quello ha bisogno: “Sta continuando il suo lavoro”.

“La prima riflessione da fare è che questa campagna si inserisce in un trend, quello di rimpiazzare ufficiali, tecnocrati, notabili insomma, dello stato saudita, che risalgono all’epoca di re Abdallah (o precedente) con personale più giovane la cui lealtà è più decisamente orientata verso Mohammed bin Salman”, ci conferma Cinzia Bianco, analista della Gulf State Analytics (che si occupa di fare consulenza strategica per grandi aziende che vogliono muoversi nel Golfo) e Phd Candidate all’Università di Exeter.

“Questa strategia del largo ai giovani a là saudita – aggiunge Bianco – è molto funzionale al rafforzamento del potere di MbS, perché i giovani riescono meglio a comprendere la sua linea assertiva, in discontinuità con l’andamento più rallentato degli affari sauditi finora, e poi perché i più anziani, diciamo così, hanno delle linee di lealtà, alleanze e interessi più radicate” e magari meno controllabili per lui.

Che impatto avranno questi cambiamenti nei campi di battaglia in cui i sauditi sono impegnati, per esempio in Yemen? “Credo che vedremo l’Arabia Saudita più impegnata e più sulla linea aggressiva teorizzata da bin Salman: penso che certamente c’entri anche la guerra in Yemen, perché MbS aveva bisogno di capri espiatori dato che la guerra sta durando troppo, costando troppo e la performance è lontana da quella sperata” (Riad ha scelto l’intervento armato nel 2015 con l’idea di bloccare rapidamente l’offensiva dei ribelli Houthi, ma i risultati non sono arrivati, e anzi la situazione è in stallo da mesi, ndr).

Possibile che adesso vengano lanciate campagne yemenite più decise per cercare di chiudere il fronte yemenita, dunque: “In particolare potrebbe essere attaccato il porto di Hodeidah, sul Mar Rosso – spiega Bianco – perché nell’ottica di MbS quello è un punto centrale da riconquistare, ma le organizzazioni umanitarie sono molto preoccupate di un’offensiva in quell’area perché è l’unica bocca di accesso per gli aiuti umanitari destinati ai territori controllati dagli Houthi”. E gli aiuti sono fondamentali nel contesto yemenita, dove la guerra e l’embargo saudita stanno sfiancando la popolazione del più povero paese del Medio Oriente.

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