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L’attuale confine tra Turchia e Iran è considerato uno dei più longevi del mondo, scarsamente modificato dal 1600, quando separava l’impero ottomano da quello Persiano. Un confine che, oltre a dividere due imperi islamici, segnava anche la più importante divisione ideologica all’interno dell’Islam, quella tra sunniti e sciiti. Verso la fine della Guerra fredda e negli anni post ‘89, i due Paesi erano governati da regimi che si trovano agli antipodi ideologici e politici: quello kemalista ad Ankara e quello degli ayatollah a Teheran. Secolare e filo-occidentale il primo, islamista e anti-occidentale il secondo.

Tutti presupposti affinché la sfiducia e i sospetti tra i due Paesi restasse massima, nonostante le molte occasioni di cooperazione offerte dalla geopolitica. Una diffidenza ulteriormente accresciuta dalle ambizioni di proiezione turche verso l’Asia centrale degli anni Novanta, quando Ankara puntò a cogliere un vantaggio dallo sfaldamento dell’Unione Sovietica e a costruire una propria profondità strategica nei Paesi turcofoni e islamici dell’Asia centrale, attivando una competizione strategica oltre che con Mosca, proprio con Teheran.

I progetti di panturchismo di Ankara, spalleggiati da Washington, miravano a bloccare l’avanzata del fondamentalismo islamico e a far penetrare in quegli spazi-chiave per molti equilibri energetici, il potere culturale ed economico di una Turchia secolare e alleata con l’occidente. Le ambizioni turche però furono di breve durata, anche perché non sorrette dai necessari mezzi e strumenti e alla lunga l’influenza e l’interesse strategico russo ha finito per prevalere, anche grazie all’avvicinamento tra Mosca e Teheran per contrastare la crescente presenza turca – e dunque della Nato – nell’Asia centrale.

La competizione tra Iran e Turchia nell’Asia centrale, così come in altri quadranti post-sovietici, quali il Caucaso – Azerbaigian in particolare – è rimasta comunque una competizione a bassa intensità. Anche perché essa è una concorrenza non a due, ma a tre, che vede nella partita anche la Russia. Le relazioni tra Ankara e Teheran, pertanto, non hanno mai potuto assumere un carattere ben definito, di conflitto o di alleanza, perchè il rapporto strategico a tre obbliga i due Paesi a mantenere un bilaterale ibrido, che mescola cooperazione politica e antagonismo, opportunità commerciali e rivalità. Ogni azione revisionista dei rapporti di forza che producesse importanti vantaggi regionali a una delle tre potenze sarebbe verosimilmente bilanciata da una cooperazione tra le altre due in funzione antirevisionista dello status quo.

Questa natura del rapporto turco-iraniano e della sua competizione a bassa intensità inserita nel più ampio gioco strategico a tre con Mosca ha tuttavia iniziato a mutare dopo il 2003 in seguito agli effetti prodotti dal conflitto americano in Iraq, con cui è iniziato il processo di distruzione del Paese e di destrutturazione del Medio Oriente, tutt’ora in corso.

È all’interno di tale processo che va inquadrata l’ascesa dell’Islam politico in Turchia, il progressivo abbandono del modello politico occidentale – secolare e l’adozione di una politica estera cosiddetta neo-ottomana. È con la distruzione dell’Iraq bathista che le relazioni geopolitiche tra Ankara e Teheran si incardinano su nuovi binari. Dal conflitto iracheno è nato il primo proto-Stato jihadista del Medio Oriente (Aqi, poi Isis) che ha intrapreso, perseguendo il disegno del terrorista giordano al-Zarqawi, un ambizioso progetto di espansione verso il levante, esportando in Siria la guerra civile e settaria. Lo smembramento di Siria e Iraq ha creato un pericoloso vuoto lungo tutto il confine meridionale turco mentre nello stesso tempo si deterioravano le relazioni con Baghdad, sempre più nell’orbita di Teheran, e falliva il tentativo di regime change a Damasco, grazie all’intervento militare russo e delle milizie sciite.

L’oscura e contraddittoria politica americana nella regione ha dunque portato nel giro di pochi anni a un completo reset dei rapporti strategici tra Ankara e Teheran, favorito dal referendum dei curdi iracheni per l’indipendenza, fonte di preoccupazione sia turca che iraniana. Da questi stravolgimenti ha preso il via quel processo di ravvicinamento geopolitico tra Ankara e Mosca da un lato e tra Ankara e Teheran dall’altro il cui punto centrale è ora divenuto il processo di Astana per la soluzione del conflitto siriano. Il rapporto turco-iraniano sta inaspettatamente evolvendo verso relazioni sempre più strette, al pari di quello turco-russo. Non ci appaiono essere semplici matrimoni di convenienza ma piuttosto i tentativi di stabilire il nuovo ordine regionale post-Primavere arabe (e post-americano) nel levante.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche)

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