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La Legge di Bilancio ha contribuito al riaccendersi del dibattito sul payback farmaceutico. Al centro della riflessione, le implicazioni per industria, competitività del sistema Paese, ricerca e accesso all’innovazione per i pazienti. Di questi temi si è discusso durante l’incontro “Payback farmaceutico. Sostenibilità e certezza del diritto come base per una leale collaborazione”, tenutosi oggi presso il Centro Studi Americani, organizzato da Johnson & Johnson innovative medicine con il patrocinio di Farmindustria. L’incontro ha rappresentato un’importante occasione di confronto tra attori istituzionali, esperti e rappresentanti del settore, offrendo spunti per nuove proposte e strategie condivise. Una riflessione che punta a garantire non solo la stabilità del sistema sanitario, ma anche la competitività del settore farmaceutico italiano nel contesto globale.

LE INSIDIE NELLA LEGGE DI BILANCIO

Il presidente della commissione Finanze al Senato, Massimo Garavaglia ha definito il payback un meccanismo nato con un intento corretto, ma ormai divenuto un ostacolo per gli investimenti e per la competitività del settore farmaceutico. Critico verso l’articolo 57 della Legge di Bilancio – che trasferisce una percentuale pari allo 0,65% sul prezzo di vendita al pubblico dei medicinali di classe a dalle aziende farmaceutiche ai grossisti – lo ha bollato come una misura “sbagliata e distorsiva”. Affermazione condivisa da Marcello Cattani, presidente di Farmindustria che ha affermato tagliente: “L’articolo 57 è sovietico. La nostra richiesta è la sua abrogazione, non si può vedere”.

SUPERARE IL MECCANISMO

Emanuele Monti, presidente commissione Welfare della Regione Lombardia e membro del Cda di Aifa, evidenziando le criticità del sistema attuale, ha sottolineato come l’invecchiamento della popolazione e la conseguente crescita della spesa sanitaria richiedono un ripensamento profondo. “Non si può superare questo problema con meccanismi puramente contabili”, ha affermato, indicando nella complessità normativa e nel meccanismo un freno per l’intero settore. Il tetto alla spesa farmaceutica, spesso disatteso, e le norme stratificate negli anni, come il decreto legge 159/2007 e la 95/2012, richiedono una semplificazione. In ultimo, per Monti si tratta di “meccanismi distorsivi che non generano reali benefici né per le imprese né per i conti pubblici regionali”.

CRITICITÀ GIURIDICHE

Sono state inoltre presentate le criticità giuridiche del sistema attuale, come sottolineato da Domenico Siclari, professore di Diritto dell’Economia e dei mercati finanziari presso l’Università La Sapienza di Roma: “L’attuale configurazione del payback è irragionevole e illogica in un’economia di mercato”, ha spiegato. “Il sistema – ha proseguito – non garantisce la prevedibilità necessaria per pianificare investimenti in ricerca e sviluppo. Inoltre, l’indicazione del tetto di spesa che viene fatto da parte pubblica negli ultimi anni è stato sempre superato, ciò presuppone un errore di calcolo”. Un possibile meccanismo integrativo al payback sarebbe l’introduzione di tetti sulla base del fatturato annuo delle aziende, su questo Garavaglia ha ribadito: “È una misura percorribile, ma resta un palliativo”, indicando la necessità di una revisione radicale dello strumento.

IL SETTORE COME PILASTRO PER IL SISTEMA PAESE

Infine, il dibattito si è esteso a una visione più ampia e strategica. Cattani ha ribadito l’importanza del settore farmaceutico come pilastro dell’economia nazionale, definendo il payback un rischio per la competitività dell’Italia nel mercato globale. “Se il payback diventa uno strumento di finanziamento strutturale, porteremo questo Paese verso il declino”, ha dichiarato con fermezza. Ha invitato il governo a sviluppare una strategia industriale chiara, capace di supportare un comparto che genera valore aggiunto per l’intera Nazione. “L’imprevedibilità del payback influenza negativamente il nostro settore, ostacolando la pianificazione aziendale e minacciando sostenibilità e innovazione. La riduzione delle risorse compromette lo sviluppo di nuovi farmaci e la salute pubblica”, ha affermato Mario Sturion, amministratore delegato di Johnson & Johnson innovative medicine Italia.

UNA SFIDA OLTRE I CONFINI ITALIANI

Ma non è un problema solo italiano, secondo il presidente di Farmindustria, “con le elezioni americane, per l’Europa è suonato il campanello dell’ultimo giro di pista. Le condizioni non ci consentono di essere lenti, senza ambizione o strategia”. “La competitività non può attendere”, ha concluso. Anche secondo Claudia Biffoli, divisione Biotecnologie e farmaceutica del Ministero per le Imprese e il made in Italy, in questo momento “una sinergia a livello europeo diventa strategica”. “L’obiettivo è quello di far competere l’Italia su scala globale e garantire l’efficienza del nostro sistema sanitario”, ha sottolineato Annarita Patriarca, segretario di presidenza alla Camera dei deputati, che ha aggiunto: “L’ultimo G7 Salute a Bari ha aperto gli occhi a tutti sulla sfida legata all’antimicrobico-resistenza e queste sfide si vincono se la ricerca è all’avanguardia ed è compito della buona politica aiutare la ricerca”.

IL REPORT

Il report presentato durante l’evento ha evidenziato come il sistema fiscale italiano, compreso il meccanismo del payback, rappresenti un ostacolo significativo per l’attrattività del Paese nel settore life science. L’analisi, condotta da Pwc, rivela che l’Effective tax rate (Etr) medio delle imprese farmaceutiche in Italia è sensibilmente più alto rispetto a quello di altri settori. Se il payback fosse assimilato a un’imposta, l’Etr medio del comparto arriverebbe al 78%, contro il 24% delle altre imprese del nostro Paese. Questi dati mettono in luce il carico finanziario particolarmente oneroso che grava sulle aziende farmaceutiche, penalizzando non solo rispetto ad altri settori nazionali, ma anche rispetto ai competitor internazionali. Il comparto contribuisce all’economia del Paese con circa 19,7 miliardi di euro, pertanto una stabilizzazione del sistema risulta auspicabile per prevenire i rischi concreti legati a un blocco degli investimenti e – forse più importante – al soccombere sotto la pressione di altri mercati, quali Cina e Usa.

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