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Entro la fine di gennaio gli Stati Uniti alzeranno nuove sanzioni contro la Russia. Le motivazioni sono note, la presa militare della Crimea, la perpetrazione dello status quo guerresco in Ucraina orientale, le interferenze durante le presidenziali del 2016. Ma questa volta l’obiettivo del dipartimento di Stato e del Tesoro americano non saranno le agenzie di intelligence e i top funzionari dell’amministrazione russa: nell’obiettivo statunitense dovrebbe finire una galassia di entità di rango minore e diversi pesci piccoli della cerchia del Cremlino. Elementi che finora hanno permesso, attraverso scatole cinesi, società di comodo, passaggi laterali, di mantenere in vita le attività di gruppi e persone già sanzionate.

Circola un numero tra i media russi, anche affidabili come il Kommersant: 300 persone, saranno quelle colpite dalle prossime sanzioni, fanno sapere dai ministeri di Mosca, ma c’è comunque da fare attenzione su certe dichiarazioni perché la Russia è in piena campagna elettorale. Una corsa presidenziale che vede il presidente Vladimir Putin non tanto impegnato a vincere – il risultato è dato per scontato – quanto a tenere alto il consenso, col metro di misura dell’affluenza alle urne; e uno dei richiami nazionalistici usati dal capo del Cremlino è l’anti-occidentalismo, che passa anche attraverso denunce su possibili attività di influenza americane organizzate durante le elezioni, o posizioni diplomatiche apertamente in contrasto con le vision occidentali (prendere da esempio la questione nordcoreana: Mosca sceglie strade palesemente diverse da Washington, le rimarca, critica a bastone l’amministrazione americana, si propone come elemento di moderazione e normalizzazione della crisi).

Le misure che dovrebbero entrare in vigore dal 29 gennaio secondo la Tass sono l’applicazione operativa di un disegno di legge passato in modo bipartisan, e con una strana maggioranza bulgara, al Congresso quest’estate: la legge fu avallata a malincuore dal presidente Donald Trump, che con quella firma s’è visto definitivamente sfumare – sotto i termini pratici, e per il momento – ogni genere di possibilità di avvicinamento a Mosca (uno dei punti più controversi e criticati delle sue posizioni annunciate già in campagna elettorale).

A finire sotto il mirino delle agenzie americane saranno persone che fanno affari con altre già sottoposte a sanzioni, per questo la cerchia si allarga. A ottobre, nella prima indicazione di chi avrebbe preso di mira la nuova legge, il dipartimento di Stato ha già messo in guardia tre dozzine di importanti società della difesa e agenzie di intelligence russe, indicando che altre società, russe o straniere, che intrattengono rapporti “significativi” con loro potrebbero affrontare le restrizioni.

A Washington, secondo quanto riporta Radio Liberty e Bloomberg circolerebbe già anche quella che chiamano “la lista degli oligarchi”: un papier di nomi importanti, della Russia che conta diremmo (quella più vicina al Cremlino, per altro) e delle loro famiglie, ancora molto segreto. A quanto pare quei nomi non subiranno restrizioni per il momento, ma intanto la lista dovrebbe servire a creare pressione psicologica. “Questo shockerà quella gente dimostrando che non sono sicuri, che gli Stati Uniti sono disposti a perseguire questa classe di persone e Putin non può proteggerli […] e che ci saranno conseguenze per i russi che sembrano essere nella corrotta cerchia di Putin e [stanno] aiutando e favorendo le sue attività corrotte” ha detto al media governativo americano Daniel Fried, che in precedenza ha ricoperto il ruolo di coordinatore delle sanzioni al dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

La legge passata quest’estate, d’altronde, invitava le agenzie a compilare questa “blacklist“, come la chiama Bloomberg, entro 180 giorni. I funzionari del Tesoro starebbero prendendo in considerazione l’idea di mantenere alcune parti del report classificate – che la legge consente – e di emetterlo pubblicamente sotto forma di lettera di un alto funzionario (Sigal Mandelker è il nome che dovrebbe firmarla) invece di rilasciarlo attraverso l’Office of Foreign Assets Control, che emette ufficialmente le sanzioni. Un modo proprio per farla viaggiare su livelli meno formali. (Una lista del genere circola da una mesata, è più informale ed è stata compilata in una riunione in Lituania organizzata dall’attivista russo e campione di scacchi Garry Kasparov: comprende, per quanto noto, i top manager della banca Sberbank e di altre industrie di livello, ma anche quadri di alcune agenzie governative già sottoposti a sanzioni).

L’obiettivo americano è colpire la più ampia fascia possibile dell’élite russa, perché colpendola potrebbe erodere il sostegno di Putin. Il presidente ha creato attorno a sé cerchie di potere che è sempre riuscito a proteggere ottenendo in cambio fedeltà (per esempio, il recente programma di condono fiscale), ma se Washington dovesse riuscire a intaccare questo sistema, potrebbero prodursi smottamenti. È una guerra indiretta che punta a far diventare Putin tossico al punto che chiunque abbia rapporti con lui si trovi la strada chiusa in Occidente (detto un po’ per iperbole). Essere su una lista di persona che stanno facendo cose che per Washington sono cattive, dovrebbe far vergognare i nominati e farli allontanare da Putin. Diversi media, sia occidentali che russi, scrivono che nei circoli che contano di Mosca c’è molto nervosismo in attesa della lista.

Tutto si giocherà molto anche sulla propaganda: da un lato gli americani potrebbero sottolineare ogni arretramento del presidente come un effetto delle loro misure, dall’altro il Cremlino le denuncerà come un’ingerenza esterna negli affari interni russi. Nei giorni scorsi il viceministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha già avvisato la popolazione russa tramite la Tass, denunciando che nuove sanzioni saranno alzate dagli Stati Uniti per influenzare il voto del 18 marzo. Questi dichiarazioni sono la parte meno formale, ma forse più efficace, del principio di reciprocità.

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Washington studia nuove sanzioni per allontanare le élite da Putin

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