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“Il cielo può portare conseguenze impreviste”, dice un famoso proverbio cinese sulla necessità di essere preparato all’imprevedibile. L’Esercito popolare di liberazione sarà più che preparato alle conseguenze dell’inizio delle provocazioni contro Manila anche tra i cieli del Mar Cinese, consapevole che quanto avviene continua a coinvolgere una rete ampia di attori internazionali e per questo assume rilevanza prioritaria negli affari globali.

Ed è per questo che Pechino e Manila avevano concordato che dal 21 luglio sarebbe iniziato un “arrangiamento provvisorio” per de-escalare le tensioni attorno il Second Thomas Shoal — isolotto conteso diventato simbolo delle tensioni con la Sierra Madre come protagonista (qui l’edizione di “Indo Pacific Salad” dedicata alle tensioni attorno alle Filippine). Sembrava che vi fosse spazio per una possibile riduzione del confronto. E invece a distanza di pochi giorni l’accordo è scemato.

Val la pena però una ricostruzione di come si è arrivati fin qui, per comprendere perché il video di un jet da combattimento cinese che provoca un aereo militare filippino fa più visualizzazioni di quello di una medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Il 27 luglio, le Filippine hanno condotto una missione di rifornimento pacifica alla Sierra Madre, un’azione che è stata vista come un test della volontà cinese di rispettare l’accordo. La missione si sia conclusa senza gli incidenti registrati in questi mesi (uno dei quali è costato un pollice a un marinaio filippino, sfiorando il casus belli). Nello stesso giorno, gli Stati Uniti hanno annunciato uno stanziamento “senza precedenti” di 500 milioni di dollari per le Filippine. Un sostegno finanziario considerato un segnale del rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi, che ha inevitabilmente irritato Pechino.

Il giorno successivo, il 28 luglio, le Filippine hanno accusato la Cina di aver “frainteso”, o addirittura distorto il senso dell’accordo raggiunto pochi giorni prima, evidenziando il persistere di un clima di sfiducia reciproca. Questa accusa ha preannunciato l’inizio di una rinnovata fase di tensioni, ma non è del tutto infondato: la narrazione cinese era già orientata nel raccontare l’intesa come una resa di Manila alle rivendicazioni del Partito/Stato a proposito del Mar Cinese.

Il 31 luglio, appena dieci giorni dopo l’accordo, la Cina ha scoperto le carte con una dimostrazione di forza, lanciando esercitazioni militari su larga scala nel Mar Cinese Meridionale. In concomitanza, le Filippine e gli Stati Uniti hanno organizzato un pattugliamento marittimo congiunto, chiara risposta di cooperazione (leggasi deterrenza) in un momento in cui la pressione cinese si stava intensificando.

In questo contesto di crescente tensione, il 2 agosto le Filippine hanno realizzato il loro primo esercizio militare bilaterale con il Giappone dopo la recente implementazione delle relazioni bilaterali, la quale ha dettato la strada sull’importanza di stringere nuove alleanze regionali, anche per contrastare l’influenza di Pechino. Tra l’altro, questa è una delle principali necessità strategica espresse da Washington nei confronti dei partner regionali (e non solo).

A pochi giorni di distanza, il 5 agosto, navi vietnamite sono arrivate nella Baia di Manila, consolidando ulteriormente la collaborazione tra le Filippine e il Vietnam, due Paesi che condividono preoccupazioni simili riguardo all’espansione cinese nella regione. Per altro entrambi parte del network che Tokyo sta costruendo nell’Indo Pacifico, con il Vietnam ormai centro delle dinamiche che stanno rimodellando le supply chain globali.

Le provocazioni non si sono fermate qui, arricchendo questo ultima mesata di diario. Il 7 agosto, la Cina ha inviato droni in prossimità del territorio vietnamita, aumentando la pressione non solo sulle Filippine, ma anche sui loro alleati regionali. Nello stesso giorno, in un gesto di “solidarietà internazionale” (come dicono i militari, ma leggasi di nuovo deterrenza), si è svolta la prima attività cooperativa marittima congiunta tra Filippine, Stati Uniti, Australia e Canada. Un’altra delle iniziative con cui gli Usa sottolineano l’importanza di una risposta coordinata alle sfide poste dalla Cina con un senso chiaro: noi possiamo portare anche il Canada nell’Indo Pacifico, ma è necessario che voi, alleati e partner (in questo caso Australia e Filippine) collaboriate.

La situazione si è ulteriormente deteriorata quando l’8 agosto la Cina ha effettuato un pattugliamento di combattimento per testare le sue “capacità di attacco” e ha lanciato razzi illuminanti (flares) davanti a un aereo filippino sopra allo Scarborough Shoal — uno degli atolli con tesi nel Mar Cinese. Questo gesto provocatorio ha suscitato l’indignazione delle Filippine, che hanno denunciato le azioni cinesi come “pericolose e provocatorie”.

Il giorno seguente, il 9 agosto, le guardie costiere di Filippine e Vietnam si sono esercitate nella zona. È stato il primo esercizio congiunto del genere, teoricamente concordato e probabilmente per questo la Cina ha alzato il livello del confronto nei cieli (dove la superiorità è altrettanto totale, come a livello marittimo).

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