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Come sarebbe stata la guerra in Siria se Damasco avesse posseduto armi atomiche? La domanda non è peregrina, se consideriamo le rivelazioni che giungono oggi da Israele. Il ministro della Difesa di Gerusalemme Avigdor Lieberman ha ammesso che fu proprio Israele a bombardare il 6 settembre 2007 un reattore nucleare che Damasco, col sostegno tecnico della Corea del Nord, stava costruendo nell’est della Siria e che sarebbe stato attivato entro pochi mesi.

Il sito si trovava ad Al Kibar, nella regione di Deir ez-Zour, ed era in costruzione da anni. L’intelligence americana avvertì i colleghi israeliani di attività sospette rilevate in territorio siriano, ma Israele non le dette credito. Ma nel 2007, anche l’intelligence di Gerusalemme aveva ormai il quadro chiaro. In un documento desecretato risalente al 30 marzo 2007 si legge che la “Siria ha messo in piedi, nel suo territorio, un reattore nucleare per la produzione di plutonio grazie alla Corea del Nord”; si valutava che l’impianto “sia passibile di essere attivato approssimativamente l’anno prossimo”. “Secondo il nostro giudizio”, continuava il documento, lo scopo dell’impianto era chiaramente “fabbricare un’arma nucleare”.

Furono mesi intensi, quelli che seguirono in Israele, indeciso sul da farsi. Una prima richiesta agli americani di intervenire fu rigettata. Quando maturò la decisione di fare da sé, ci furono divergenze tra il primo ministro dell’epoca, Ehud Olmert, e il ministro della difesa Ehud Barak. Alla fine, però, la decisione fu presa.

Alle 10:30 della notte del 5 settembre 2007, una squadriglia di F-16 e F-15 decollò dalle basi di Ramon e Hatzerim nel sud del Paese, e si diresse verso la regione di Deir-ez-Zour, 450 chilometri a nord di Damasco. Quattro ore dopo gli aerei fecero ritorno, la missione era compiuta, il reattore distrutto. L’operazione “Outside the box” fu un successo pieno, anche se vincolato alla consegna del silenzio, come da migliore tradizione israeliana.

Con quell’operazione, Israele lanciò un messaggio ben preciso ai suoi nemici. Messaggio che viene riassunto oggi dal capo dello Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, Gadi Eisenkot: “Il messaggio dell’attacco al reattore nel 2007 è che Israele non accetterà la costruzione di una capacità che minacci l’esistenza dello Stato. Questo era il messaggio nell’81 (anno dell’attacco preventivo di Israele al reattore nucleare iracheno di Osirak). Questo era il messaggio del 2007. Questo sarà il messaggio per i nostri nemici in futuro”.

Le parole di Eisenkot risuonano in quelle diffuse su Twitter dal ministro israeliano per l’intelligence Israel Katz: “Quell’operazione ed il suo successo hanno chiarito che lo Stato d’Israele non consentirà mai che si dotino di armi atomiche quanti minacciano la sua esistenza. Allora la Siria, oggi l’Iran”.

Un monito, dunque. Rivolto all’Iran, anzitutto, che in questo momento rappresenta il nemico numero uno dello Stato ebraico anche grazie ai successi ottenuti sui campi di battaglia siriani, che oggi Teheran domina e mira a controllare nel prossimo futuro. Per questo è necessario ammonire l’Iran, rinfrescandogli la memoria. Ed è questo il momento giusto per farlo, mentre la comunità internazionale si interroga su che fare del Jcpoa, l’accordo sul nucleare con l’Iran che la Casa Bianca di Donald Trump è seriamente intenzionata a far saltare.

Come ha detto il ministro della difesa Lieberman, la “determinazione dei nostri nemici è aumentata negli ultimi anni, ma la forza del nostro esercito, della nostra aeronautica e delle nostre capacità di intelligence si è rafforzata significativamente rispetto alle capabilites che avevamo nel 2007″. Questa realtà, ha aggiunto Lieberman, “dovrebbe essere presa in considerazione da tutti in Medio Oriente”.

Che l’Iran dunque non pensi di approfittare della sua vittoria in Siria per fare del paese di Assad una retrovia da cui attaccare Israele. Il quale sta all’erta, ed è pronto ad entrare in azione se necessario. Come ha fatto il mese scorso quando ha intercettato e abbattuto un drone iraniano partito dalla Siria e penetrato nello spazio israeliano. Una provocazione che non dovrà più ripetersi, ripetono oggi in coro i dirigenti israeliani, perché Israele non rimarrà con le mani in mano.

Ecco come Israele parla di Siria pensando all’Iran

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