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Un referendum, quello di Lombardia e Veneto, pienamente legittimo perché inserito nel quadro costituzionale, e all’opposto un altro in Catalogna che è incostituzionale. È difficile trovare dei punti in comune tra i due casi, italiano e spagnolo, che sono stati spesso accostati e a volte, erroneamente, accomunati in questi giorni in cui l’attenzione mondiale è concentrata su quello che sta accadendo a Barcellona. Dal punto di vista del diritto si tratta di due situazioni molto diverse, spiega Paola Bilancia, ordinaria di Diritto costituzionale all’università degli Studi di Milano: la professoressa conosce bene la Catalogna, ha insegnato all’università di Barcellona, e ci aiuta a fare chiarezza sull’argomento.

Il referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto, convocato per il 22 ottobre prossimo, si inserisce in un procedimento che è previsto dall’articolo 116 della Costituzione italiana, ricorda la professoressa: “Prevede che una regione possa sentire le autonomie locali e, di intesa con il governo, chiedere ulteriori autonomie in materie dove ha competenza legislativa solo parziale e quindi espanderla. È un aggravamento della procedura perché la nostra Costituzione non prevede i referendum consultivi, tanto che l’Emilia Romagna parte con lo stesso procedimento senza consultare il corpo elettorale. La stessa procedura era stata attivata dal presidente della regione Formigoni con il governo Prodi con proposte di autonomia in tema di ambiente e beni culturali e altre materie di competenza concorrente Stato-regioni, ai tempi si era firmata l’intesa con il governo poi questo è caduto e il discorso non è più andato avanti”.

Diversissimo è il discorso catalano: il referendum non chiede maggiore autonomia ma agli elettori di esprimersi sulla proclamazione di una repubblica indipendente, ed è stato già sospeso dalla Corte costituzionale spagnola. “Hanno fatto un referendum illegittimo – ha affermato Bilancia – a cui il governo nazionale ha risposto con l’intervento della Guardia Civil, non ha avuto i contorni di un voto normale, dunque oltre ad essere illegittimo non c’è alcuna certezza sulla regolarità del voto, che è stato ostacolato”.

La situazione di Lombardia e Veneto da una parte e Catalogna dall’altra è molto diversa in termini di spazi di autonomia già conquistati. “La Catalogna ha grandissima autonomia, ha una sua guardia armata, la lingua è il catalano nelle scuole e nelle università, e 12mila professori in questi anni hanno dovuto lasciare la regione autonoma, non è proprio un popolo oppresso dallo Stato centrale”, osserva Bilancia, che conosce di persona la situazione avendo insegnato a Barcellona. “Loro vorrebbero una rilevante autonomia finanziaria come i Paesi baschi, che hanno una totale tutela anche dei beni culturali e in questo modo hanno valorizzato notevolmente il territorio, si pensi solo alla città di Bilbao”, spiega, precisando però che queste conquiste sono arrivate dopo una stagione caratterizzata da una lotta armata, passata attraverso anche il terrorismo e dunque lo spargimento di sangue. “I Baschi stanno a guardare cosa succede in Catalogna”, ha dichiarato ancora la professoressa prima di aggiungere: “La situazione si è inasprita con l’intervento della Guardia Civil, penso che pur se illegittimo il referendum se si fosse svolto in modo regolare non avrebbe fatto votare l’indipendenza, non è il Risorgimento italiano, e i risultati sono abbastanza dubbi perché non ha votato neanche la metà dei catalani. Poi nel resto della Spagna sono abbastanza nazionalisti nonostante le comunità autonome abbiano abbastanza autonomia”.

Tornando al caso italiano le rivendicazioni di Lombardia e Veneto in caso di vittoria del sì sarebbero molto diverse da quelle di Barcellona: “Si poteva procedere anche senza il voto, ma c’è una maggiore legittimazione passando per i cittadini. Con la vittoria del sì le due regioni avranno più forza nel portare avanti le richieste”. Resta però non definito quale sarà l’ambito o l’oggetto delle eventuali richieste nei confronti del governo: “Dopo il voto decideranno su che materie concentrarsi, ad esempio potrebbero essere ricerca scientifica e tecnologica, competenza concorrente con lo Stato, tutela della salute e alimentazione o protezione civile” dice la professoressa. Difficile invece che si possa parlare di redistribuzione delle imposte come succede per le 5 regioni a Statuto speciale in forza della loro autonomia finanziaria: lì i nove decimi dell’Iva restano sul territorio, e in Trentino Alto Adige succede anche per l’Irpef.  “Difficile che succeda questo – sostiene la Bilancia – perché poi chi sosterrebbe le spese nazionali come esercito e insegnanti, ma anche i magistrati e la giustizia che si finanziano con imposte nazionali? Sono spese talmente forti quelle dello Stato classico con toga, bilancia e spada che da qualche parte quei soldi devono arrivare”.

Nel caso italiano lo scenario è comunque ben definito e il processo incanalato su binari stabiliti e conosciuti, in Catalogna gli scenari sono invece imprevedibili: “E’ una situazione che non si è mai verificata. In Scozia c’è stato un accordo istituzionale tra parlamento scozzese e britannico per il referendum sull’autonomia, nonostante gli scozzesi abbiano una forte tradizione nazionalista. Cechi e slovacchi si sono separati ma con un accordo: un nuovo Stato si forma con una rivoluzione o se viene conquistato, le secessioni sono uno strappo all’ordinamento con un percorso doloroso. Inoltre se la Catalogna dovesse diventare uno Stato indipendente uscirebbe dall’Unione europea e dovrebbe far partire le pratiche di adesione, ma il nuovo trattato dovrebbe essere firmato all’unanimità e la Spagna chiaramente non firmerebbe quindi non potrebbe rientrare nella Ue. E la Catalogna vive di fondi europei: sono molto europeisti ma forse questo non lo hanno calcolato”.

Tutte le differenze tra il referendum in Lombardia e Veneto e quello della Catalogna

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