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In questi giorni il candidato premier del Movimento 5 Stelle e vice presidente della Camera, Luigi Di Maio, è andato in visita negli Stati Uniti. Era partito con la promessa (di giugno, data dell’ultimo viaggio americano) di incontrare il presidente Donald Trump una volta incoronato dal suo partito come frontrunner: Di Maio ha vinto le primarie non troppo partecipate tenutesi a fine settembre con 30mila preferenze, però negli States ha incontrato comunque linee minori dell’amministrazione. Secondo alcuni critici è sintomatico dei limiti, anche di rappresentatività, che il Movimento si porta dietro in politica estera. Per esempio, giornali di rilevanza che hanno intervistato Di Maio, come il Washington Post, ne hanno fatto una descrizione non troppo tenera: l’aspetto anagrafico su cui girava il positivo nell’articolo del WaPo non è bastato, e Di Maio è stato descritto come un personaggio che ha avuto un’ascesa politica “sorprendente”, dato che “ha abbandonato l’università”, “non ha mai svolto un lavoro da professionista”; insomma, il giornalista americano dice che la sua scalata politica è legata solo all’attivismo all’interno del M5S, “un’organizzazione di protesta fondata meno di un decennio fa dal comico irriverente Beppe Grillo“.

DI STEFANO NEL GOLFO

La scorsa settimana il responsabile Esteri del M5S, Manlio Di Stefano, descritto da molti come colui che “punta alla Farnesina“, ha scritto un post su Facebook entrando nel merito della principale crisi attualmente in corso, lo scontro regionale tra Iran e Arabia Saudita, che ha potenziali ricadute globali. Di Stefano apre il suo intervento attaccando il governo italiano, per mettere subito in chiaro che la sua è una lettura politica (interna) della questione: l’accusa all’esecutivo Gentiloni è di armare l’Arabia Saudita, che utilizza anche bombe italiane per colpire i ribelli che hanno scalzato dal potere il governo legittimo yemenita. Quelle bombe sono parte degli ordigni che la campagna sauditi in Yemen ha sganciato anche sui civili. Ma sono una parte minima, perché è noto che Riad è un super cliente degli armamenti americani e poi è un cliente strategico di Mosca, che sta vendendo nel Golfo armi in concorrenza con i paesi Nato (ma anche questo non è citato, e forse è dovuto al fatto che il M5S ha qualche inclinazione verso la Russia).

TRUMP È IL COLPEVOLE, MA ANCHE NO

Per Di Stefano “l’atteggiamento saudita  si spiega, infatti, con l’ennesimo messaggio sbagliato che gli Stati Uniti hanno dato al Medio Oriente con le dichiarazioni sull’abbandono dell’accordo nucleare iraniano, fonte di stabilità per l’area”. Si riferisce alla decisione di Trump di decertificare il Nuke Deal e dare la palla in mano al Congresso. Però più avanti aggiunge: “Possiamo sperare che Stati Uniti e Russia esercitino la loro influenza sugli attori regionali per abbassare la tensione militare” e chiede – pressando ancora sulla questione politica interna italiana – di intervenire al governo Gentiloni, che “lo deve fare perché dopo aver perso tutti gli interessi in Libia, Siria e Iraq per guerre depredatorie (volute da altri) non si può permettere che anche il Libano venga distrutto ma, soprattutto, perché Gentiloni, come ho ribadito in Aula recentemente, ha il dovere di far comprendere all’alleato statunitense l’urgente necessità di ritrattare sulle parole espresse sull’accordo con l’Iran”.

BANALITÀ SU RIAD

Poi chiude con un riferimento un po’ qualunquista sull’Arabia Saudita, che secondo lui ha “finanziato, supportato e armato i terroristi che hanno devastato Iraq e Siria”. Ossia, Di Stefano accede alla vulgata secondo cui Riad ha finanziato lo Stato islamico: questa è un’alterazione della realtà, perché sebbene sia vero che alcuni privati (ricchi cittadini anche all’interno della cerchia della corona) abbiano elargito gruppi discutibili, è altrettanto notissimo l’odio che il Califfato (o al Qaeda) riversa messaggio dopo messaggio contro Riad, colpevole per gli estremisti baghdadisti di aver inquinato l’Islam – loro che ne sono protettori dei luoghi sacri – con un avvicinamento di interesse all’Occidente. E Mohammed bin Salman, che Di Stefano descrive (a ragione) come colui che ha mosso le fila dell’attuale crisi, è ancora peggiorata: bin Salman si inquadra come guerriero contro il terrorismo anche per affrancarsi dalle narrative a là Di Stefano, ha incarcerato alcuni predicatori troppo estremisti (e non è cosa da poco nel sistema politico-teocratico saudita), si è detto promotore e aggregatore di un Islam moderato.

Manlio Di Stefano e i grilli a 5 stelle contro l'Arabia Saudita

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