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La giurisdizione della Corte europea sulla Gran Bretagna “deve finire” quando la Brexit sarà definitiva. E anche “la libertà di movimento delle persone” è destinata a terminare con il “recupero del controllo delle frontiere” da parte di Londra. Così Theresa May ha esordito, in una capitale stretta dal freddo, nel suo attesissimo discorso alla Mansion House nella City di Londra.

Sfidando sia Bruxelles che i suoi Brexiteers per affrontare al meglio la realtà dell’imminente divorzio dall’Ue, May ha mostrato ancora una faccia nuova da premier infaticabile. È stato avvertito, infatti, un cambiamento di tono nel primo ministro volto a stigmatizzare “la complessità del compito” che attende l’Inghilterra, un’incertezza che è nelle cose, intrinsecamente ovvia rispetto a quello che il Paese dovrà affrontare nei prossimi mesi.

Il primo ministro ha ammesso che in un certo qual modo l’accesso al mercato per gli inglesi sarà diverso, forse, “inferiore” rispetto a quello di cui possono godere ora, e che “entrambi”, Londra e Bruxelles, dovranno “affrontare il fatto che questo è un negoziato e che nessuno potrà ottenere esattamente ciò che vuole”. E a proposito delle polemiche sull’Irlanda del Nord ha dichiarato “come primo ministro di tutta la Gran Bretagna” che non lascerà che “la Brexit cancelli gli storici progressi in Irlanda del Nord, né permetterò che niente danneggi l’integrità della nostra preziosa Unione”. Sul confine fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord britannica, May ha indicato “due opzioni” capaci di ridurre le barriere ed evitare “un confine duro”. La prima è “una partnership doganale fra Regno Unito e Ue”, la seconda un serie d’intese su specifici punti per evitare dazi e alleggerire il confine irlandese. Una May conciliante ha tentato di tenere per mano l’Unione e i suoi, ma ha criticato aspramente l’atteggiamento dei burocrati di Bruxelles rispetto alla Brexit. Insomma, che gli euroscettici affrontino la realtà.

May ha sostenuto, d’altronde, la visione dei Brexiteer rispetto ai nuovi accordi commerciali per la Gran Bretagna al di fuori dell’unione doganale dell’UE. “Vogliamo la libertà di negoziare accordi commerciali con paesi di tutto il mondo. Vogliamo riprendere il controllo delle nostre leggi. Vogliamo un confine il più semplice possibile tra noi e l’Unione europea, in modo da non danneggiare le catene di approvvigionamento integrate dalle quali dipendono le nostre industrie”. Più chiari di così. La leader dei conservatori è, comunque, convinta che un accordo arriverà e ha indicato cinque test, ovvero cinque priorità che determineranno i suoi obiettivi nella trattativa: rispettare il risultato del referendum” con cui il Regno Unito ha deciso di uscire dalla Ue; “unire” il paese; essere “coerente” con il tipo di democrazia “moderna, aperta e tollerante” con cui si identifica la Gran Bretagna; mettere su un patto duraturo, che non rischia di venire violato in futuro e “proteggere i posti di lavoro” britannici e la sicurezza nazionale. Detto ciò, May ci ha tenuto a confermare che l’opzione di un ‘no deal’, un divorzio senza accordo negoziale con l’Ue, è “meglio di un cattivo accordo”.

Il discorso segue giorni di tensione e soprattutto giorni in cui il primo ministro e il suo Gabinetto hanno trascorso ore a leggere e discutere il testo durante una riunione al numero 10 di giovedì mattina, perché fosse espressione realmente di tutti. “Stiamo per andarcene”, ha detto il primo ministro dribblando ogni timore di una visione delle cose che avrebbe spezzato il partito. Motivo per cui, dicono, la May abbia procrastinato tanto fino ad oggi. Anche alla stampa più ostile al governo il discorso è parso un vero passo avanti, e poco male se per Jeremy Corbyn il primo ministro ha mancato di chiarezza.

Nell’aria c’è una relativa soddisfazione per le cose. I più ritengono che si sia trattato di un discorso largamente pragmatico. D’altronde Theresa May ha fatto un audace tentativo di superare lo stallo nei colloqui Brexit e offrire la visione di una Gran Bretagna che commercia strettamente con l’UE ma è saldamente al di fuori del blocco: niente di più vicino ad un modus operandi senza compromessi e pregno di concretezza.

E nel frattempo la parte del partito che non vede l’ora di lasciare l’Ue, e che da giorni scalpita, ha tirato un respiro di sollievo rispetto ad un ritorno alle posizioni originarie del governo. Jacob Rees-Mogg ha rilasciato una dichiarazione ufficiale come presidente del gruppo plaudendo ad un discorso che è stato “una chiara affermazione di come possiamo lasciare l’Unione europea e mantenere relazioni amichevoli con i nostri vicini”. Per toni ‘ottimisti’ ci sarà tempo.

Per lo Spectator l’aspetto più controverso del discorso per il pubblico europeo resta la questione della frontiera con l’Irlanda che, dicono, sarà risolta nel modo migliore dal Regno Unito. Per gli analisti del noto giornale inglese la cosa potrebbe essere molto più complicata nella realtà non avendo avuto una genesi del tutto fluida. Ma, quello di May, checché ne dicano, potrebbe essere il discorso più importante, poiché le tensioni con Bruxelles minacciano di andare fuori controllo e persino di far fallire completamente i negoziati. Però adesso le premesse sono ancora più inequivocabili.

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