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Gli Stati Uniti stanno portando avanti da mesi una linea anti-iraniana che da qualche giorno ha trovato un ovvio contrappasso: la Guida Suprema della Repubblica islamica ha ospitato a Teheran il presidente russo Vladimir Putin, e dall’incontro esce la visione della coppia di alleati: dobbiamo essere ancora più uniti nella nostra partnership per “isolare” gli Stati Uniti e creare “un nostro” equilibrio in Medio Oriente (“nostro” significa di nostra convenienza).

IL PIANO GENERALE

Da Washington sono continui gli sforzi per sottolineature quella linea anti-iraniana, che ha avuto il suo massimo picco esplicito con l’annuncio di qualche settimana fatto direttamente dal presidente Donald Trump: abbiamo deciso di decertificate il Nuke Deal, l’accordo internazionale che nel 2015 ha portato al congelamento del programma nucleare iraniano. Trump ha lasciato la decisione finale al Congresso: in sessanta giorni i legislatori dovranno votare se gli Stati Uniti potranno o meno restare all’interno del deal (che resterà in piedi essendo garantito da un meccanismo multilaterale). Ma la Casa Bianca e ampie fasce dell’amministrazione stanno cercando il modo per veicolare la scelta finale contro l’Iran. Il piano è semplice: dipingere l’Iran come uno stato canaglia.

L’IRAN E LO SPIRITO DELL’ACCORDO

Il fatto che ci sia un impegno anche propagandistico dell’amministrazione Trump su questo tema non significa che in realtà l’Iran non lo sia davvero uno stato canaglia. Due esempio tra i più discussi: la sua politica espansionistica in Medio Oriente è giocata attraverso le influenze guidate da partiti-milizia che usano lo sciismo come interesse politico più che come credo, sono settari, mirano al potere; Teheran inoltre sta portando avanti un programma missilistico con il quale costruire i vettori balistici che potrebbero trasportare, in futuro – quando il Nuke Deal scadrà e il nucleare militare sarà scongelato – testate atomiche. Però formalmente rispetta i dettami dell’accordo sul nucleare, e questo è certificato, ed è un problema per la Casa Bianca – su cui hanno già attaccato tutte le controparti che hanno firmato quell’intesa – perché Trump non può usare il non rispetto come arma per spingere le sue volontà. E dunque ricorre a un tema più sottile: l’amministrazione americana sostiene che al di là degli aspetti tecnici sul rispetto della clausole del deal, è “lo spirito” con cui l’Iran si approccia agli affari internazionali che non va bene – e sta violando dunque lo spirito dell’accordo (che è: far diventare Teheran uno stato meno canaglia, detto tagliato con l’accetta).

L’AIUTO DI POMPEO

L’ultimo proxy utilizzato per sostenere quest’idea è stato la desecreatazione di alcuni contenuti sottratti dal covo di Abbotabad in cui era rifugiato Osama Bin Laden. Il capo della Mia Mike Pompeo è un falco anti-iraniano e ha voluto aumentare il numero di documenti che l’agenzia aveva intenzione di rendere pubblici (per farlo ha scavalcato il Director della National Intelligence, l’ombrello che copre tutte le intelligence americane e che di solito si occupa di questi affari a metà tra le relazioni pubbliche e il burocratico) e fatto uscire dettagli sul link tra Iran e al Qaeda. (Nota: dietro c’è un doppio spin, perché a quello anti-iraniano si unisce ciò che Trump vuol far passare come spinta anti-establishment, pulire i vetri del palazzo, e così i documenti su Bin Laden si uniscono a quelli resi pubblici su JFK, e poco importa se entrambe le cose erano già state programmate pre-Trump quando c’è di mezzo lo storytelling politico).

L’IRAN E OSAMA

Nei documenti che Pompeo ha voluto rendere pubblici ci sono informazioni a proposito della copertura che i gangli dei servizi segreti iraniani hanno fornito ai combattenti qaedisti dopo il 9/11. Il tema è caldo (rinnovato dall’attacco a New York di pochi giorni fa) e solletica l’opinione pubblica. È noto agli osservatori, meno alla gente comune, che Teheran dopo l’11 Settembre ha fornito protezione a uomini di al Qaeda finiti obiettivi di caccia statunitense. Una scelta pragmatica, perché l’Iran è una teocrazia sciita che considera i sunniti takfiri, miscredenti da distruggere, e i miliziani qaedisti sono la quinta essenza del sunnismo (e riservano ugual sdegno per l’altro filone dell’Islam). Ma le relazioni erano dettate da un solo elemento: l’odio nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente, uno dei cardini del pensiero estremista di entrambi i lati, raro punto di contatto.

POMPEO SA CHE LEVE MUOVERE

Pompeo è un super-trumpiano: viene criticato perché passa più tempo a Washington che a Langley, in Virginia, dove si trova la sede della Cia. Mentre si trova nella capitale frequenta la Casa Bianca, non solo per i briefing di intelligence ma per vere e proprie riunioni politiche col presidente e i suoi consiglieri (altra critica: sta politicizzando troppo l’agenzia), oppure è con i congressisti. È stato un deputato esperto, sa che leve muovere per sollecitare le decisione dei suoi ex colleghi. L’odio iraniano nei confronti degli americani è una di queste: testimoniarlo attraverso dati trovati nel covo del nemico pubblico per antonomasia, Osama, è un’occasione imperdibile.

(Foto: White House Video, screenshot)

Anche Pompeo dalla Cia fa politica contro l'Iran

Gli Stati Uniti stanno portando avanti da mesi una linea anti-iraniana che da qualche giorno ha trovato un ovvio contrappasso: la Guida Suprema della Repubblica islamica ha ospitato a Teheran il presidente russo Vladimir Putin, e dall’incontro esce la visione della coppia di alleati: dobbiamo essere ancora più uniti nella nostra partnership per "isolare" gli Stati Uniti e creare "un nostro"…

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