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Durante la parata militare annuale organizzata per l’anniversario della guerra Iran-Iraq a Teheran, la Repubblica islamica ha mandato in scena il suo nuovo missile balistico: il Khorramshahr, con raggio di 2mila chilometri, ha spiegato Tasmin, l’agenzia media collegata direttamente con l’ala più oltranzista del potere iraniano, i Guardiani della Rivoluzione (il nome del missile è evocativo, perché è quello di una città del sudovest teatro di un violento attacco, e gloriosa resistenza, proprio durante il conflitto con l’Iraq). Secondo le informazioni diffuse dalla propaganda iraniana (che dice: “È un missile a lungo raggio”, ma in realtà secondo gli standard internazionali è a medio raggio), il missile è stato costruito tutto nel paese, e per questo differisce dallo Shahab-3, che era stato sviluppato sulla base di il vettore nordcoreano Nodong – in realtà anche in questo caso si notano molte similitudini con il Musudan di Pyongyang. Si tratta di un trasferimento di know how militare tra paesi dell’asse del male che non è nuovo e anche l’Onu ha tracciato lo scorso mese un trasferimento via mare di componenti per armi chimiche dalla Corea del Nord alla Siria.

IL TEST

Poche ore dopo la parata, il Khorramshahr pare sia stato testato per la prima volta. “Quando si tratta di difendere il nostro paese, non chiederemo a nessuno il permesso” aveva detto il presidente Hassan Rouhani, rispondendo a un attacco verbale ricevuto dall’omologo americano Donald Trump. Il lancio – ma anche lo sviluppo stesso – di un missile balistico sono un’evidente violazione di un ammonimento che da anni va contro Teheran, ricalcato tre giorni fa dal presidente americano durante il suo discorso alle Nazioni Unite. Con l’Iran c’è un accordo per congelare il programma nucleare chiuso da un meccanismo internazionale multilaterale nel luglio del 2015, ma l’impossibilità di sviluppare missili balistici non è inclusa esplicitamente nell’intesa.

IL PROGRAMMA MISSILI DI TEHERAN

Il perpetrare iraniano sul programma missilistico è una delle motivazioni formali per cui Trump vorrebbe far uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare – un’altra è la mancata ratifica definitiva da parte del Congresso (e questo porta a presupporre che Trump deciderà forse già nelle prossime settimane per il ritiro, lasciando mano libera ai legislatori di confermare o meno la sua decisione). I missili come il Khorramshahr potrebbero essere infatti i vettori in grado di trasportare in futuro testate nucleari, e sono una componente di importanza primaria per rendere l’Iran un paese atomico – e dunque, quando tra una dozzina d’anni il programma nucleare iraniano sarà scongelato dalla fine dell’accordo, continuando a sviluppare missili Teheran potrebbe trovarsi già avanti su una parte dell’obiettivo. Quando a febbraio gli iraniani testarono un vettore simile, la Casa Bianca rispose con estrema durezza retorica: parlò Michael Flynn, in una delle sue uniche uscite da capo del Consiglio di Sicurezza nazionale (si dimise in quello stesso mese, impelagato fino al midollo nel Russiagate), e disse che dopo il test gli Stati Uniti avevano messo l’Iran “on notice“, ossia l’avevano avvisato delle potenziali conseguenze (armate) delle proprie azioni.

ROUHANI TRA POLITICA E STRATEGIA

Venerdì il presidente iraniano, spesso accusato di essere troppo morbido con l’Occidente dai falchi dell’opposizione interna più intransigente, ha parlato anche della volontà iraniana di rafforzarsi militarmente: “Il rafforzamento della capacità delle forze armate […] è solo per difendere il paese e non chiederemo a nessuno l’autorizzazione a costruire  e costruire forze armate, missili e aeromobili. obiettivi aggressivi, ma la pace non è una strada a senso unico e se decidiamo di essere pacifici l’altra parte … potrebbe non farlo”. Quindi c’è bisogno di vigilanza ha aggiunto Rouhani, e per questo ci continueremo ad armare: il presidente ha colto l’occasione dell’attacco di Trump per dare spinta al metodo militaresco con cui l’Iran conduce i propri affari, facendo felici anche i più conservatori tra le posizioni politiche interne. L’Iran è stato un sanguinoso protagonista della guerra siriana: ora che il conflitto è nella fase conclusiva, e che il regime sponsorizzato dagli iraniani ha schiacciato le opposizioni, la Siria sta diventando una piattaforma militare per Teheran, che sfrutta anche l’alleanza che si è creata con la Russia (una protezione internazionale poco potabile, ma molto forte dal punto di vista mediatico). La chiusura del deal atomico, inoltre, è stata l’occasione formale per avviare la riqualificazione internazionale della Repubblica islamica, che adesso si sente pronta a muoversi con maggiore libertà. L’Iran mira ad aumentare la propria influenza regionale, in aperto contrasto con le monarchie sunnite del Golfo e con Israele. Per diffondere questa sua presenza si appoggia a elementi interni ai vari stati, sollecitando una sorta di internazionale sciita che passa per esempio da Beirut – con il rafforzamento militare fornito dai miliziani sciiti di Hezbollah, minaccia da contrapporre a Gerusalemme – o da Sanaa – dove gli iraniani danno sostegno ai ribelli Houthi che combattono contro una coalizione arabo sunnita che ha interesse nel ristabilire lo status quo in Yemen.

L'Iran testa un nuovo missile balistico, show di muscoli in faccia a Trump

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