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È tornato il tempo per un progetto Roma che vada al di là dell’amministrazione ordinaria o di una serie di iniziative senza un apparente filo comune? Con il lancio di un Tavolo di lavoro per Roma, la cui prima riunione è prevista il prossimo 17 ottobre, il ministro Carlo Calenda ha avuto il merito di sollevare il quesito. Ma certamente, e per stessa ammissione del suo proponente, la proposta potrà avere un seguito solo se il Sindaco non solo parteciperà agli incontri ma saprà cavalcarla, se non davanti almeno a fianco delle altre istituzioni.

Dopo una bulimia progettuale, accompagnata da capacità amministrativa non sempre adeguata, delle Giunte Rutelli e Veltroni e i pochi progetti e l’ancora peggiore amministrazione delle più effimere Giunte Alemanno e Marino, il mandato di Virginia Raggi è iniziato all’insegna del ritorno alla normalità. Prima di pensare eventualmente a grandi progetti, secondo il Sindaco occorreva dare una scossa all’amministrazione, che, storicamente mai brillante, negli ultimi anni si è ulteriormente deteriorata. Da qui nasce il no anche simbolico alle Olimpiadi. Peraltro un progetto certamente importante e forse utile ma nel quale, a parere di chi scrive, non può certo esaurirsi l’idea di sviluppo di una città come Roma.

Dopo un anno abbondante, purtroppo non si registrano segnali di una (ri)scossa amministrativa, a partire da una qualità dei servizi locali e da un decoro della città che mai sono parsi peggiori, soprattutto a chi ha la possibilità di fare confronti frequenti con altre metropoli. Naturalmente è ancora presto per un giudizio definitivo sulla Giunta Raggi ma quanto visto fin qui dimostra che rinunciare a dare un progetto forte al governo di una grande capitale, per concentrarsi sull’ordinaria amministrazione, è una strategia perdente e di corto respiro. Anche perché le altre grandi città europee con le quali Roma si deve confrontare non stanno di certo a guardare. E molte hanno sviluppato in questi ultimi anni progetti ambiziosi, come dimostra l’analisi del ministero dello Sviluppo Economico che ha accompagnato l’iniziativa di Calenda.

D’altronde, se ne è probabilmente accorta la stessa Sindaca nel momento in cui, prima dell’estate, ha lanciato Fabbrica Roma, iniziativa nata per contrastare la perdita in atto dei posti di lavoro, conseguenti alla “diaspora delle realtà produttive dalla città”. Bene l’obiettivo ma le modalità scelte finora, in attesa di saperne di più su analisi e proposte, lasciano perplessi.

Partire, come primo atto, dal coinvolgimento delle sigle sindacali, certamente degli attori di cui tenere conto ma non certo davvero decisivi per fermare la deriva occupazionale, appare il frutto di un’impostazione distorta e anti-storica.

Quando sarebbe stato molto più moderno e incisivo chiamare a raccolta fin da subito gli attori che hanno dimostrato con i fatti di immaginare un futuro di innovazione a Roma, dal mondo delle start-up a quello della ricerca e dell’università, dalle grandi e medie imprese con proiezione o provenienza internazionale alle NGO. Senza timore di bypassare (o mettere comunque su un piano di parità con gli altri partecipanti) la rappresentanza tradizionale, anche datoriale, in gran parte dei casi complice del dissesto attuale di Roma e ancorata a una gestione del potere e a una visione del mondo del tutto incompatibili con le ambizioni che la capitale d’Italia dovrebbe avere nel XXI secolo.

Se un Tavolo Roma ha da farsi, e secondo noi la risposta non può che essere affermativa, deve soprattutto innovare la rappresentanza degli interessi, che in passato hanno zavorrato la rincorsa di Roma al futuro e, purtroppo, anche al presente. Qualsiasi idea che abbia un respiro più lungo di uno starnuto non può infatti che essere legata allo sviluppo di una filiera digitale e dell’innovazione, all’attrazione di capitali ma anche di persone dall’estero (turisti e, perché no, residenti, a partire dai giovani). Cioè le direttrici di crescita nelle quali le metropoli sono in grado di esprimere al meglio il proprio vantaggio competitivo.

I dati mostrati nell’analisi del Mise confermano in tutta la loro crudezza l’immagine di una città in crisi. E anzi la rafforzano, fotografando alcuni trend di assoluta rilevanza, come il crollo del reddito pro capite del 15% nel periodo 2008-2016 contro una media nazionale del 9% e una riduzione per Milano che si è invece arrestata al 6%. Ma offrono anche qualche nota di speranza per il futuro. Se si tolgono le costruzioni e il comparto commercio, turismo e comunicazione (che costituiscono circa un terzo del valore aggiunto romano), il resto dell’economia della Capitale ha tenuto bene, in anni molto difficili con riduzioni cumulativamente limitate a poco più di un punto percentuale. Idem se disaggreghiamo il valore aggiunto tra le imprese a partecipazione pubbliche e le altre. Laddove, nel periodo 2010-2015, le prime hanno visto ridursi il valore aggiunto del 3,8% mentre le seconde lo hanno visto aumentare dello 0,8%.

Le speranze possono però germogliare solo in un contesto istituzionale favorevole, nel quale i diversi livelli di governo, come chiede la stessa Carta Costituzionale, collaborino lealmente. Nel definire un progetto concreto e allo stesso tempo ambizioso. E soprattutto saperlo realizzare.

Un progetto (vero) per l'economia di Roma

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