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Dalla posizione dei primi anni in Parlamento la distanza è siderale, ma pure dalle dichiarazioni della scorsa primavera non è che le priorità dei cinquestelle in materia di Europa siano cambiate di poco. La visita di Luigi Di Maio al Forum Ambrosetti di Cernobbio (qui la gallery) ha fotografato l’ennesimo cambio di rotta del movimento guidato da Beppe Grillo sul tema della moneta unica europea: un tempo era considerata il simbolo per antonomasia della tecnocrazia di Bruxelles da abbattere a tutti i costi, mentre oggi è ritenuta uno strumento tutto sommato non così negativo, da confermare salvo contrordine. Secondo i pentastellati insomma, l’uscita dall’euro andrebbe valutata solo come ultima spiaggia.

LE PAROLE DI DI MAIO A CERNOBBIO

Il cambio di prospettiva – o, se volete, la retromarcia – è stata ufficializzata nel corso dell’intervento a Cernobbio del candidato in pectore del MoVimento 5 Stelle alla presidenza del Consiglio. Di fronte a una platea di imprenditori e banchieri – ansiosi di riforme ma, certo, non di rivoluzioni – Di Maio ha cercato di spendere parole tranquilizzanti, lontane anni luce dai furori degli esordi. “Il referendum sull’euro? Solo un’extrema ratio“, ha commentato il vicepresidente della Camera, per il quale questa strada dovrebbe essere battuta solo eventualmente, nell’ottica di dare maggiore peso alle rivendicazioni italiane a Bruxelles: “Il referendum sull’euro va usato come peso contrattuale e come via d’uscita nel caso in cui i paesi mediterranei non dovessero essere ascoltati in sede europea, ma noi non siamo contro la Ue“. In pratica quasi una minaccia, più da sventolare – ma solo in ultima istanza – che da esercitare concretamente.

QUANDO DI MAIO PROMETTEVA IL REFERENDUM

Peccato, però, che solo poco più di cinque mesi fa lo stesso Di Maio avesse dato di fatto per scontato il referendum nell’eventualità di un governo a cinquestelle. Era il 23 marzo 2017: di fronte ai giornalisti della stampa estera – in occasione della presentazione del libro bianco del movimento sull’Europa – il vicepresidente della Camera lasciò spazio a pochissimi dubbi. “Se dovessimo andare al governo, proporremmo un referendum consultivo sull’euro“, disse quel giorno Di Maio (qui l’approfondimento di Formiche.net), che poi spiegò anche il meccanismo con cui, secondo le intenzioni di allora, avrebbe dovuto essere indetta la consultazione: “La strada è quella di una legge costituzionale con cui prevedere l’istituzione del referendum“. Ma da quel momento di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia – a cominciare dalla netta sconfitta di Marine Le Pen in Francia – tanto che anche molti altri degli anti-euro di casa nostra, Matteo Salvini in testa, sono scesi a più miti consigli sul destino della moneta unica.

LA DISTANZA DA GRILLO

Per non parlare di cosa ha affermato a lungo Beppe Grillo sull’argomento. “Dobbiamo uscire dall’euro il prima possibile“, tuonò ad esempio il fondatore del movimento il 10 dicembre del 2014. Un obiettivo per raggiungere il quale i pentastellati hanno pure lanciato una raccolta firme corredata da un portale tutt’ora online – dal titolo Fuori dall’euro e consultabile qui – nel quale venivano enumerate tutte le nefandezze della moneta unica e i vari passaggi da seguire per cercare di abbandonarla. Una distanza troppo evidente per passare inosservata, che ha scatenato le critiche di chi si sta opponendo alla svolta di governo del MoVimento 5 Stelle. Come, ad esempio, l’ex intellettuale pentastellato Paolo Becchi che su Twitter ha pubblicato una foto in cui ha messo a confronto le vecchie dichiarazioni di Grillo e quelle di questi giornio di Di Maio, precedute dal commento “Cronistoria di un tradimento“.

di maio grillo

IL PROGRAMMA ESTERI SU ROUSSEAU

Semmai le ultime parole di Di Maio sembrano più in linea con il programma esteri del movimento votato su Rousseau lo scorso aprile (qui l’approfondimento di Formiche.net). Nel quale si parlava dell’uscita dall’euro quasi solo in termini negativi, come di uno scenario difficilmente realizzabile e dalle conseguenze potenzialmente disastrose per l’Italia. A tal proposito il professore associato dell’Università di Cassino Gennaro Zezza affermava che “l’uscita unilaterale dall’euro comporta una rottura di trattati, comporta una manovra di tipo aggressivo nei confronti dei nostri partner“. “Discutere se sia tecnicamente possibile oppure no” – continuava Zezza in questo video – “non è neanche opportuno in questa sede, sicuramente è possibile, ma sicuramente i costi politici da sostenere sono alti“. Per mettere fine all’Europa dell’austerità lo stesso professore proponeva, però, il varo della cosiddetta moneta fiscale, a favore della quale si espressero moltissimi degli attivisti a cinquestelle, tanto da diventare una delle tre priorità del programma pentastellato in materia di politica estera. Un tema che tuttavia, da quel giorno, sembra essere finito nel dimenticatoio.

CHE FINE HA FATTO LA MONETA FISCALE?

Di Maio a Cernobbio si è guadato bene dal parlarne, un po’ come hanno fatto molti altri esponenti del movimento negli ultimi mesi. Eppure la proposta è stata votata dai militanti e può tuttora essere rintracciata nel programma dei cinquestelle, seppur abbastanza nascosta. Nel riassunto dell’esito della votazione pentastellata, infatti, di moneta fiscale non si parla affatto (come Formiche.net ha già sottolineato in questo articolo) ma si afferma molto più genericamente che, “come ultimo tentativo di salvataggio della zona Euro, il Movimento 5 Stelle si farà promotore di un’alleanza con i Paesi dell’Europa del sud per superare definitivamente le politiche di austerità e rigore, facendo fronte comune per ottenere una profonda riforma anche dell’Unione Europea“. Occorre, invece, aprire l’apposita pagina e scorrere il documento fino all’ultimo paragrafo per leggere la proposta, argomentata nei dettagli dal prof. Zezza. Che i vertici pentastellati stiano facendo marcia indietro anche rispetto ai programmi votati su Rousseau dagli iscritti al movimento?

Luigi Di Maio

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