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Gennaio 2016:  entra in vigore l’accordo sul nucleare tra Iran e i paesi occidentali. Obiettivo di Teheran è subito quello di produrre 3,6 milioni di barili di petrolio entro sei mesi, superare i 4 in un anno e toccare i 5,5 in 5 anni. Negli ultimi tre mesi del 2017 la produzione iraniana si è attestata sui 3,8 milioni di barili. Il boom tanto atteso non c’è stato. Nel 1979, prima della rivoluzione islamica, l’Iran era arrivato a estrarre 6 milioni di barili al giorno, di cui solo 500 mila destinati al consumo interno. Poi la rivoluzione khomeinista, la guerra con l’Iraq di Saddam Hussein, le sanzioni e l’isolamento internazionale hanno affossato la produzione, che nel 2011 è scesa a 2,6 milioni di barili e nel 2015 si è ulteriormente dimezzata, calando a 1,4 milioni d barili al giorno.

Le proteste di inizio hanno una marcata connotazione economica. Gli iraniani chiedono di migliorare il proprio tenore di vita. Se l’economia iraniana non ha beneficiato quanto ci si attendeva dalla fine delle sanzioni è anche per colpa dell’insoddisfacente sviluppo del settore energetico. Tra le motivazioni che hanno frenato gli investimenti delle major internazionali, come messo in evidenza in questo report realizzato da Energy and Strategy Hub per il CeSI(Centro Studi Internazionali), ci sono il rischio geopolitico, l’incerto quadro normativo iraniano,  i ritardi della legislazione e le pressioni provenienti dalle frange più conservatrici dell’apparato politico iraniano che ha interessi massicci nel settore energetico.

Per effetto delle proteste di fine 2017 a inizio 2018 il greggio ha toccato i massimi dal maggio 2015. I disordini nel paese mediorentale, che è il terzo produttore dell’Opec, hanno aggiunto un premio per il rischio geopolitico ai prezzi del greggio anche se i disordini non hanno impattato su produzione ed esportazioni anche in virtù del fatto che i principali campi di estrazione di petrolio si trovano a grandi distanze dalle città interessate dalle proteste. Bjarne Schieldrop, capo analista delle materie prime della banca d’investimento SEB ha detto a Oilprice che non ci sono rischi fondati sull’interruzione di produzione iraniana. «Se, invece, questo dovesse verificarsi, il blocco avrebbe un enorme impatto sui prezzi globali del petrolio. Un’interruzione totale di tale portata porterebbe immediatamente il prezzo del Brent a 100 dollari».

sanzioni, iran

Le proteste in Iran e la questione energetica

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