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Non aveva bisogno di fare sfoggio della sua profonda cultura, di ostentare erudizione. Con parole lineari, semplici, nel 2013, pochi mesi prima del suo sequestro, con questa semplice frase sapeva parlarci del presente, della Siria parlandoci del nostro futuro padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita sequestrato quattro anni fa a Raqqa: “Vi è un circolo ermeneutico infernale: le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure.”

Cosa gli sarà accaduto? Come mai quattro anni dopo non abbiamo alcun cenno su di lui, sul suo destino? Difficile parlare di quello che non si sa. Tutti dicono sia stato inghiottito nel buio siriano mentre era da solo davanti alla sede dello Stato Islamico. Sicuro? Chi può dirci che sia andata proprio così? Sappiamo che una sua amica, Souad Noufal, si è recata tantissime sere in manifestazione di protesta solitaria davanti alla sede dello Stato Islamico, lei donna, indossando pantaloni. E sappiamo che nonostante tutti i racconti su un altro sequestro misterioso, di oltre quattro anni fa, quello di due vescovi ortodossi sequestrati ad Aleppo, abbiano sempre detto che fossero soli con l’autista – freddato dai terroristi – in realtà erano in quattro, c’era anche un devoto assistente di uno dei due vescovi, catturato con loro e poi rilasciato. Lo ha detto un parente di un0 dei vescovi, intervistato da Hurriyet. Il testimone ora è all’estero.

Dunque chi può dirci che Paolo fosse davvero da solo? Possiamo dire per certo invece che la sua presenza in Siria, dove era rientrato clandestinamente dopo l’espulsione decretata nel 2012 dal regime di Bashar al Assad, era una sfida, insopportabile. Una sfida per tutti quei poteri fondati sulla barbarie e che intendono fare della Siria o un sedicente stato confessionale o famigliare. E lui, Paolo, lo sapeva. Sapeva di incarnare una sfida entrando in un conflitto dove le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure. E siccome lui credeva nell’amicizia, nella fratellanza islamo-cristiana, voleva sfidare questo conflitto che usava e usa le religioni conto l’altro.

Ricordiamo il quarto anniversario del suo sequestro, del suo silenziamento, alla vigilia della partenza di papa Francesco per la Colombia, terra di un sofferto compromesso di pace tra Stato e Farc, dove Bergoglio, a Cartagena, ricorderà la tratta degli schiavi, e l’odioso trattamento degli schiavi proprio lì a Cartagena, dove un suo confratello gesuita ruppe nel 600 il silenzio della Chiesa al riguardo, divenendo Santo.

Anche Dall’Oglio ha rotto tanti silenzi sulla cultura pagana di chi riduce i suoi simili in schiavitù. “Tanti siriani mi hanno detto che  quando arrivi a superare la paura, la prima volta che scendi in strada, che riesci ad aprire la gola e gridare libertà, diventi un’altra persona. Passi dalla condizione di schiavo a quella di cittadino. Quando riesci a mettere in dubbio che il presidente sia un dio, dopo che te lo hanno insegnato fin dalla scuola materna, quando riesci a separare verità e autorità, a distinguere oggettività e potere, e in piazza domandi dignità, allora senti di vivere un momento di libertà, di verità, di autenticità. E la cosa più incredibile è che ti arrestano per questo, ti torturano, ma il giorno dopo scendi di nuovo in piazza. Perché non possono più colpirti al cuore della tua dignità ritrovata, di uomo libero. Anche se ti picchiano, se ti obbligano a ripetere che Bashar è il tuo dio. La tortura non intacca questa dignità ritrovata”.

Leggere Dall’Oglio ricorda da vicino il leggere Camus, e il suo Uomo in Rivolta è profondamente mediterraneo, una rivolta camusiana, né rivolta metafisica né rivoluzione destinata a rivelarsi nemica dei suoi figli, ma rivolta umana, e in Dall’Oglio islamo-cristiana, come la sua ermeneutica del testo sacro spiega benissimo.

Paolo è stato sino a quel giorno la voce narrante più autorevole di una storia che doveva restare sconosciuta, rimossa; la storia di una rivoluzione nonviolenta in terra araba, in terra islamica. E la coniugazione di non violenza, mondo arabo e islam è la più importante per il futuro. Fermarla potrebbe riuscire a rendere tutto il Mediterraneo impermeabile alla nonviolenza: basta osservare come sono cambiate le nostre società, quanto l’odio sia penetrato nel nostro vissuto, nella nostra realtà politica, culturale, sociale.

Paolo è stato, e sarebbe, la voce narrante più forte di quella storia che andava cancellata, negata. La storia che lui ha portato a galla attraverso, ad esempio, Ghiyat e Caroline. “Nel marzo del 2011 – aveva scritto Paolo – Ghiyat Matar andava a offrire l’acqua fresca ai soldati e porgeva loro dei fiori. Fu torturato e ucciso. Una giovane donna, Caroline Ayoub, era andata a distribuire uova di Pasqua di cioccolato ai figli dei rifugiati con un versetto del Corano e parole del Vangelo. È stata arrestata e torturata. Le persone venivano torturate perché il governo non poteva concepire né, tanto meno, accettare la nonviolenza”.

È così che l’impegno per il dialogo tra le religioni monoteiste che difendono la dignità degli esclusi in padre Paolo diviene diviene parte integrante della teologia dei poveri che papa Francesco va elaborando da quando ha parlato di Chiesa povera, e per i poveri. Vedere nelle ferite e nelle sofferenze dei poveri la ferite e le sofferenze di Cristo appartiene alla teologia, all’ecclesiologia degli esclusi di Dall’Oglio.

 

 

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