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La ricerca scientifica deve essere liberata dall’ansia da prestazione. È questo il messaggio forte che arriva dal convegno “Dalla Formazione all’Innovazione” organizzato da M5S. Scopo dell’iniziativa è stato riflettere su percorsi intrapresi dalla ricerca universitaria, sulle zone d’ombre e le possibili ricadute sulla produttività e sulla politica industriale italiane. Presenti all’iniziativa, voluta da Francesco D’Uva, membro M5S della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, e da Gianluca Vacca (M5S), Luciano Pietronero, docente in fisica presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, Cesare Pozzi, docente di economia all’Università Luiss, Daniela Palma, ricercatrice ENEA, Francesco Coniglione docente in Storia della Filosofia dell’Università degli Studi di Catania, Juan Carlos de Martin, docente in Informatica presso il Politecnico di Torino e il fisico del Centro Fermi Francesco Sylos Labini.

“LA RICERCA GENERA SVILUPPO? NO, NON ESISTE ALCUNA RELAZIONE”

Così ha esordito in maniera provocatoria Cesare Pozzi, che insegna economia dell’impresa alla Luiss. “Ci siamo convinti che spingere sull’innovazione e sul finanziamento della ricerchi aiuti un certo percorso di crescita” – prosegue il prof. Pozzi – “Ma questo può essere fuorviante perché seppur è stato, ed è vero per gli Stati Uniti, patria dei maggiori economisti, può non essere vero tout court”. Ciò che risulta indispensabile, invece, è saper trarre i frutti dei propri investimenti in formazione e ricerca. E questo è proprio il terreno sul quale l’Italia deve lavorare. “Stiamo tornando indietro rispetto alle conquiste fatte nel ‘900. L’accrescimento delle competenze, e dunque la formazione, sta tornando ad essere un tema privato. Invece nel ‘900 si è imposta l’idea che la formazione sia un bene pubblico, una vera e propria infrastruttura per un Paese. Se l’accrescimento delle competenze è diffuso è più probabile che si generino strutture sociali resilienti”, prosegue il prof. Pozzi. Un’altra ombra del nostro sistema produttivo è l’incapacità di godere dei frutti dei suoi investimenti in cultura. “Gli investimenti che sta facendo ora l’Italia sono ridottissimi. Per “appropriarsi” dei propri investimenti è necessario trattenere sul territorio i cittadini che forma. Ma a questo deve pensare la politica industriale”.

TROPPI LAUREATI? NO TROPPI CERVELLI IN FUGA

L’Italia starebbe quindi “svendendo” il proprio capitale di competenza attraverso lo stillicidio del ben noto fenomeno dei “cervelli in fuga”. Daniela Palma dell’Enea ha dedicato a questo argomento il suo intervento. “In Italia i laureati sono più precari dei diplomati. Forse è per questo motivo che su ogni 10 ragazzi che lasciano il nostro Paese ben 9 sono laureati“, dice la dott.ssa Palma. Eppure l’Italia non abbonda di laureati, nella classifica dell’Europa a 27 il nostro Paese è tra gli ultimi della classe con solo il 20% della popolazione in possesso di un titolo accademico. “L’Italia soffre di una insufficiente specializzazione tecnologica del sistema produttivo. Questo è ben dimostrato dai dati che riguardano l’import e l’export di prodotti high tech. Se i livelli di importazione sono coerenti con la media europea per quanto riguarda l’export siamo molto al di sotto, semplicemente perché non ne produciamo. Per invertire la rotta” – suggerisce la dott. ssa Palma – “occorre istituire un inedito coordinamento tra politiche della ricerca e politiche industriali volte ad accrescere la presenza industriale ad alto valore tecnologico nel settore produttivo”. Il suggerimento è ben accolto da Gianluca Vacca: “Stiamo lavorando su una proposta per il dottorato industriale: ciò al fine di ricucire lo scollamento tra il sistema della ricerca e il sistema produttivo. Abbiamo un sistema produttivo che valorizza poco innovazione tecnologica e ricerca, con una bassa capacità di tradurre in sviluppo economico il capitale umano e di conoscenza. Da ciò deriva il dramma dei cervelli in fuga.  Inoltre noi non abbiamo capacità attrattiva, cioè abbiamo molti ricercatori che vanno fuori ma non riusciamo a far venire da noi altri ricercatori in uno scambio del quale potremmo trarre giovamento”. Ma c’è spazio anche per qualche proposta concreta, quella di un futuro programma di Governo. “Noi stiamo costruendo il nostro programma di Governo attraverso votazioni online e tra poco andrà in votazione la proposta dell’istituzione di un unico centro nazionale per la ricerca” – aggiunge l’on. Vacca – “Occorre lavorare sul coordinamento tra i vari enti di ricerca che ad oggi è assente, anzi c’è una guerra tra i vari enti per accaparrarsi quei pochi finanziamenti e manca una strategia generale che dia prospettiva al Paese”.

LA RICERCA NON DEVE AVERE ANSIE DA PRESTAZIONE

L’innovazione nasce dalla creatività e questo è un processo che può essere governato, e dunque misurato, solo fino ad un certo punto. Questo è stato l’argomento principe degli interventi del prof. Coniglione e del prof. Juan Carlos De Martin. “È sbagliata la ricerca dell’utile, soprattutto se parliamo di ricerca scientifica. Si richiede ai progetti di ricerca di arrivare a conclusioni immediatamente applicabili così come si chiede di fornire agli studenti competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro” – dice il prof. De Martin, di professione informatico – “Ma l’insegnamento deve formare “persone” e non lavoratori. A questo va aggiunta l’ossessione per le STEM, le materie scientifiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) senza considerare che al MIT di Boston 2/5 dei corsi dei futuri ingegneri sono di carattere umanistico”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento dello studioso di storia della filosofia, il prof. Coniglione. “Il miglioramento del capitale umano, e dunque di persone formate e istruite, migliora la produttività dell’economia e della società. E in questo ha un valore fondamentale la creatività, vero motore dell’innovazione, che non può essere schiacciata dalla richiesta di un output immediato. L’Italia purtroppo sta vivendo un progressivo abbassamento della qualità del suo capitale umano e questo lo possiamo riscontrare semplicemente osservando la svolta “iperspecialistica” della formazione liceale”. L’on. Vacca, nella sua relazione conclusiva, torna sul tema della “libertà” della formazione. “Questo è il Governo dell’alternanza scuola lavoro. Che altro non è stato che l’invio di ragazzi nei Mc Donald’s a studiare non si sa bene cosa, forse qualche arte culinaria. Credo che oggi sia emersa una visione diversa”

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