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Estimatori e critici di Angela Merkel convengono su un punto: la Cancelliera non ha il dono della grande retorica. Ma quando parla, spesso lascia un segno importante. Così è stato recentemente, dopo il fallito incontro del G7 a Taormina. “Sono passati i tempi in cui potevamo fare pieno affidamento su altri. Noi europei dobbiamo prendere realmente il nostro destino nelle nostre mani”.

Ma nelle dichiarazioni fatte durante il viaggio in Sud America, la Cancelliera si è preoccupata di ridimensionare le aspettative rispetto a un ruolo di guida egemonica della Germania, quasi potesse essere sostitutivo di quello americano. Ha insistito invece sul principio della cooperazione e dell’intesa comune internazionale. In realtà, la ragionevole prudenza della Cancelliera non l’ha trattenuta dal fare già un passo importante ipotizzando – per il prossimo G20 di luglio a Berlino – un esplicito sostegno ai governi e alle economie africane in difficoltà. Prima di affrontare questa problematica, ricordiamo alcune frasi semplici ma efficaci che hanno segnato momenti-chiave dell’attività politica merkeliana. “Se fallisce l’euro, fallisce l’Europa” come pronunciato nel 2012, o “Ce la faremo”, come assicurato durante il congresso della Cdu nel dicembre 2015, al culmine della migrazione di massa in Germania. Questa frase le sarebbe stata rinfacciata per mesi dai suoi avversari, incuranti della motivazione addotta: “Lo posso dire perché appartiene all’identità del nostro Paese fare le cose più grandi”.

Nel frattempo, non sono mancati apprezzamenti da parte della grande stampa internazionale. L’Economist ha definito la Cancelliera “l’europea indispensabile” o, ancora più recentemente, il New York Times “l’ultimo potente difensore dell’Europa”; per tacere delle correnti iperboli- che definizioni giornalistiche della “donna più potente del mondo”.

Chi conosce da vicino la Cancelliera sa che è una donna ben consapevole del suo potere, pragmatica e a-ideologica, ostinata eppur capace di adattamenti che sfiorano l’opportunismo. Ma è anche una donna “sola” e spesso amletica nel suo modo di esprimersi.

A proposito del parlare o dello stare zitti vanno ricordate alcune sue frasi: “quando si vuole pensare qualcosa di diverso, si ha bisogno di una fase di silenzio prima di parlare. Occorre silenzio per poter parlare in modo intelligente”. Da qui il passo è breve a considerarla “l’artista del tentennamento”. È stato inventato addirittura il neologismo merkeln per definire questo atteggiamento. E se invece fosse l’arte di chi sa attendere il momento giusto per decidere e spiazzare gli avversari?

Ma veniamo alle ultime vicende, all’indomani delle dichiarazioni del presidente americano Donald Trump di denuncia degli Accordi di Parigi e di promozione di una politica economica protezionistica (America first) e dell’abbandono dei principi del libero mercato internazionale, accompagnato da accuse dirette alla po- litica economica tedesca (surplus dell’esportazione con danni diretti per gli Usa). Ricordiamo ancora la reazione della Merkel, interpretata come una netta presa di distanza dall’America di Trump, come un mutamento di rotta della politica tedesca con il coinvolgimento e il rilancio dell’Unione europea. Non è irrilevante che la Cancelliera, nel suo modo di esprimersi, identifichi senz’altro il destino della Germania con quello dell’Europa e viceversa. Parla a nome dell’Europa trovando in questo frangente – almeno a prima vista – un largo consenso dei partner europei.

Ma è legittimo chiedersi che cosa abbia esattamente in mente la Cancelliera con le sue parole “semplici” eppure “enigmatiche”, come ha scritto Die Zeit. Qual è il percorso concreto da fare con gli altri membri dell’Unione europea, in una nuova prospettiva geopolitica di grande respiro mondiale? Che ne è delle riserve che molti Paesi europei continuano ad avere verso l’attuale linea economico-finanziaria sostenuta dalla Germania (a cominciare dal suo surplus dell’esportazione) e fatta propria, anche con qualche reticenza, dalla Commissione dell’Unione europea?

Al momento sembra scongiurato il pericolo imminente del populismo anti-europeo, dopo l’affermazione di Emmanuel Macron alla presidenza francese, le difficoltà della Alternative fuer Deutschland in Germania e lo stato confusionale dei partiti italiani, non solo quelli etichettati come populisti. Ma il contesto internazionale ai confini dell’Europa rimane preoccupante: la Brexit sta assumendo tratti incerti e confusi e l’attivismo della Russia di Putin è motivo di crescente preoccupazione per i Paesi europei confinanti. Sullo sfondo rimane irrisolto il conflitto russo-ucraino che potrebbe addirittura aggravarsi; mentre l’area mediorientale registra un inatteso acuirsi del conflitto interno agli Stati arabi.

In questa situazione, possiamo fare solo qualche congettura sulle prossime mosse europee dietro sollecitazione tedesca. Pregiudiziale sarà il nuovo rapporto tra Francia e Germania, fatalmente presentato nel gergo giornalistico come asse o direttorio franco-tedesco. Non c’è bisogno di insiste- re su quanto sia necessaria e insostituibile la stretta cooperazione tra le due nazioni, anche a fronte della disperante incapacità della classe politica italiana, che dovrà accontentarsi di non apparire semplicemente emarginata, soprattutto sulle questioni per essa cruciali della migrazione e dei rapporti con la Libia.

La problematica della migrazione sta ai primi posti dell’agenda di Merkel e non dovrebbe trovare freni nel presidente Macron. In fondo, la questione della migrazione – al di là del suo aspetto umanitario – è una componente delle altre priorità all’ordine del giorno: la sicurezza e la difesa dei confini dell’Unione. Sembra che su questo punto si sia rafforzato l’accordo franco-tedesco per un impegno militare comune, facilitato anche dalla decisione inglese di allontanarsi dall’Europa. Tutto ciò riguarda in particolare il confine orientale dell’Unione, inaspettatamente diventato motivo di preoccupazione per l’attivismo di Putin. Ma sia la Germania, sia la Francia (protagoniste – non dimentichiamolo – degli Accordi di Minsk del 2014 e 2015) non hanno alcun interesse a esasperare i toni con Putin.

A mio avviso, il vero punto critico del rilancio dell’Unione europea riguarderà il governo economico e finanziario dell’euro- zona, sulla cui augurabilità tutti si dichiarano concordi. Solo a parole, però. Sulla sua concezione e realizzazione concreta, infatti, rimangono forti differenze, a cominciare proprio da Germania e Francia.

All’indomani delle dichiarazioni di intenti della Cancelliera, Die Zeit, riepilogando i punti di contrasto tuttora esistenti in Europa, ha parlato di un’Unione europea posta davanti all’alternativa se essere “disciplinatrice o pagatrice”. “Salverà Angela Merkel l’Europa? – si chiedeva il giornale, rispondendosi – È difficile. Gli altri Paesi europei, infatti, da tempo patiscono il modo in cui i tedeschi agiscono in modo autoreferenziale”.

Ma queste parole sono state scritte prima che nell’Europa delle grandi sorprese elettorali si confermasse il grande successo di Macron. La domanda (o la scommessa), ora è se la nuova congiuntura saprà portare al superamento dei contrasti intraeuropei.

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