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Doveva essere un blitzkrieg a coronare un sogno recondito. Conquistare in un colpo solo due asset italiani significativi e strettamente correlati come i media e le Tlc. Quell’attacco pressoché simultaneo a Telecom Italia e Mediaset da parte di Bolloré con la “sua” Vivendi rischia di trasformarsi dalla vittoriosa campagna d’Italia del raider bretone in una guerriglia da palude. Uno scacco combattuto ormai tra carte bollate, autorità e legali in campo. Vada come vada sul piano finanziario la campagna lampo d’Italia si è rivelata un boomerang per Vivendi. A tutt’oggi quel che si vede distintamente sono solo i costi pagato dal colosso francese per l’arrocco su Telecom e Mediaset.

La salita al 23,9% del capitale di Telecom Italia è costata circa 4,2 miliardi alle casse del gruppo transalpino. Ai valori di mercato odierni del gruppo telefonico italiano quella partecipazione da primo socio conta perdite (virtuali per ora) per oltre 1,3 miliardi. La Vivendi di Bollorè, che ha il 20% del capitale del colosso media francese, ha fatto incetta di titoli Telecom a partire dall’autunno del 2015 e lungo la prima parte del 2016. I valori medi di carico si attestano a circa 1,2 euro. Oggi il titolo veleggia pigramente poco sotto gli 80 centesimi. Una stasi attorno a quel range di prezzo che dura ormai da più di un anno.

Copione analogo per quell’arrembaggio a Mediaset. Qui il raid è stato esplosivo e si è consumato nel corso del mese di dicembre del 2016. Anche in questo caso il titolo Mediaset, in virtù anche dell’incertezza sui destini dopo l’attacco francese, è andato a ripiegare rapidamente. Per quella quota, un pelo sotto il 30%, Vivendi ha speso munizioni per 1,25 miliardi. Oggi la minusvalenza potenziale supera i 200 milioni. Certo si potrà recuperare e quelle perdite sono ritenute dalla stessa Vivendi nel suo ultimo bilancio «non durevoli». Ma la battaglia regolamentare è appena cominciata e sugli esiti difficile dire.

Finchè non si scoglie definitivamente la nebbia sui destini di Vivendi in Mediaset e Telcom difficile pensare a un recupero dei valori. Bollorè mostra tranquillità, ma dietro di lui ci sono, come azionisti di Vivendi, il fior fiore dei grandi fondi d’investimento del mondo. Qualche spiegazione su come sciogliere al meglio l’accrocco italiano la chiederanno sicuramente. Certo Vivendi ha le spalle larghe. È ben capitalizzata con un patrimonio per oltre 18 miliardi; ricavi annui che sfiorano gli 11 miliardi e una marginalità industriale al 6,7%, anche se in calo dai tempi d’oro quando i margini si attestavano al 14% nel 2012. Ma sia la campagna d’Italia che la recente acquisizione dell’intero capitale di Havas hanno bruciato l’ingente liquidità su cui poggiava il gruppo transalpino. Solo poco più di un anno e mezzo fa, a fine 2015, Vivendi disponeva di cassa per 6,4 miliardi.

Le stime degli analisti indicano per fine 2017 un debito netto per 2,8 miliardi. Una completa inversione di tendenza. Vero è che i flussi di cassa sono adeguati a supportare quel nuovo debito creato in poco più di un anno, ma vero anche che alcuni business del gruppo sono in fase calante quanto a redditività. Canal Plus è un esempio lampante. Le difficoltà dell’operatore pay-tv sono eloquenti. Produce metà del fatturato del gruppo ma i suoi margini sono in contrazione ormai da anni. Nel 2012 Canal+ aveva margini al 13%. A fine 2016 sono precipitati al 4,6%. Il vero asso nella manica per Bollorè resta la musica. La Universal Music compensa la perdita di profittabilità della Pay tv, dato che la marginalità si attesterà quest’anno al 13%, tre volte di più del canale televisivo. Ma l’inciampo vero resta la campagna d’Italia. Quella sì rischia di mettere il finanziere bretone in grossa difficoltà con i grandi fondi azionisti di Vivendi.

(Leggi l’articolo sul Sole 24 Ore)

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Di Fabio Pavesi

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