Skip to main content

I grandi media e i cosiddetti “esperti” dimostrano ancora una volta di avere la memoria molto corta. Dalle cronache di questi giorni sembra quasi che sia l’Arabia Saudita, con le sue ultime mosse (isolamento del Qatar, guerra nello Yemen, dimissioni del premier libanese Hariri), il principale fattore di destabilizzazione del Medio Oriente. E’ vero che il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman (nella foto) ha dato il via a un nuovo corso politico nel Regno caratterizzato da un attivismo senza precedenti, sia all’interno che all’estero. Riad ha iniziato a giocare duro, ma questo perché le attività destabilizzanti e le ingerenze iraniane nella politica e negli equilibri del mondo arabo, del tutto trascurate negli ultimi otto-dieci anni dall’amministrazione Obama e dai governi europei, per non compromettere l’accordo sul nucleare (e la ripresa dei commerci con Teheran), hanno raggiunto i livelli di guardia, lambendo le “linee rosse” sia dei sauditi che degli israeliani.

Bisogna evitare di commettere l’errore di scambiare gli effetti con la causa. Per esempio, parlando come se il Libano fosse un paese pienamente indipendente minacciato oggi dalle mire dei sauditi che hanno preteso le dimissioni di Hariri, mentre è da anni nelle mani di Teheran. Non i sauditi, ma gli iraniani attraverso Hezbollah hanno trascinato il Libano nella guerra del 2006. Non i sauditi, ma Hezbollah (gli iraniani) ha ucciso l’ex premier Rafiq Hariri, padre di Saad. Il problema del Libano si chiama Teheran, non Riad.

A infiammare il Medio Oriente (Siria, Libano, Yemen) è l’Iran attraverso i suoi proxy. Il fatto che nell’ultimo decennio l’America di Obama e l’Europa abbiano preferito voltarsi dall’altra parte e che siamo stati presi dalla minaccia dell’Isis, non cancella le attività destabilizzanti e terroristiche iraniane nella regione. Con l’Isis quasi sconfitto, i curdi sempre più isolati, Iraq, Siria e Libano sotto la sua influenza, l’Iran potrà presto aprirsi la sua via diretta al Mediterraneo. Attraverso Hezbollah sta già conducendo una vera e propria guerra per procura contro l’Arabia Saudita e il piccolo Libano potrebbe essere presto, come in passato, il campo di battaglia di una prossima guerra contro Israele. Sempre più ricco e influente, con le risorse incamerate grazie all’accordo sul programma nucleare può permettersi di fornire alle sue milizie tutte le armi (tranne l’atomica, almeno per il momento) necessarie per minacciare, sempre più da vicino, i suoi rivali regionali, Israele e Arabia Saudita, i quali cominciano a reagire con azioni commisurate all’entità e all’imminenza della minaccia. Il regime iraniano sta inoltre osservando molto attentamente cosa succede alla Corea del Nord, ormai dotata di armi nucleari, e avrà tutto il tempo di valutare la credibilità della deterrenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

Spingendo alle dimissioni Saad Hariri i sauditi hanno voluto togliere la foglia di fico di un premier sunnita su un governo, e un paese, di fatto nelle mani di Hezbollah e, quindi, di Teheran. Durante il mandato di Hariri, Hezbollah ha consolidato il suo dominio sul paese dei cedri, stringendo la sua presa sulle strutture statali: le forze armate libanesi, le agenzie di sicurezza e di intelligence, il sistema giudiziario e amministrativo.

L’Arabia Saudita cercava un contrappeso all’influenza iraniana in Libano, ruolo che Hariri non è riuscito a svolgere. La sua funzione era ormai diventata quella di fornire una copertura politica sunnita di facciata alla presa del potere da parte delle milizie sciite. Ma in realtà, i sauditi non si sono mai illusi né hanno mai sostenuto l’accordo politico di Hariri con Hezbollah. Hanno ritirato i loro aiuti alle forze armate regolari libanesi, ritenute ormai ausiliarie di Hezbollah, e il loro ambasciatore non è ancora tornato a Beirut. Sebbene probabilmente avrebbero fatto meglio a fermare l’azzardo di Hariri dall’inizio, ora hanno deciso di staccare la spina ad un compromesso disastroso per denunciare l’ingerenza iraniana prima che la situazione possa precipitare. Tra l’altro, Hariri domenica ha fatto sapere di poter lasciare l’Arabia Saudita quando vuole e che tornerà presto in Libano.

Gli ultimi sviluppi dimostrano anche la fondatezza delle preoccupazioni di Israele per una minaccia iraniana che va ben oltre la prospettiva dell’atomica. Preoccupazioni snobbate come nevrosi dalle agenzie di intelligence americane durante gli anni di Obama alla Casa Bianca.

Gli israeliani si chiedono “quando”, non “se” dovranno di nuovo combattere contro Hezbollah. Più probabile di una nuova guerra coreana, o di un’invasione russa dei paesi baltici, ad oggi è un attacco missilistico contro Israele da parte di Hezbollah per procura iraniana e siriana, con un esercito di terroristi trincerato e fortificato per difendersi dalla ritorsione terrestre israeliana in Libano. Ma non sarebbe un semplice secondo tempo della guerra tra Israele e Hezbollah del 2006. Questa volta sarebbe, innnanzitutto, una guerra tra Israele e Libano, visto il livello di penetrazione delle milizie filoiraniane nei glangli dello stato libanese. E perché questa volta, lungi dal condannare la reazione israeliana, sarebbero gli stati sunniti a chiedere a Tel Aviv di usare la mano pesante contro un nemico – l’Iran – che ritengono una minaccia maggiore rispetto allo Stato ebraico.

Il ministro saudita per gli affari del Golfo, Thamer al-Sabhan, ha avvertito che Riad tratterà il governo libanese come un governo nemico che ha “dichiarato guerra”, a causa del coinvolgimento di Hezbollah in operazioni contro le truppe e gli interessi sauditi nello Yemen o altrove. Ed è davvero difficile immaginare come il Libano possa non essere ritenuto responsabile per attacchi facilitati o addirittura condotti da un’entità come Hezbollah che controlla il governo e le forze armate del paese.

Il premier israeliano Netanyahu ha definito il discorso di dimissioni di Hariri come un “campanello d’allarme” e avvertito che l’Iran sta replicando in Siria il modello grazie al quale è riuscito a dominare il Libano. Di questi giorni la notizia di immagini satellitari che mostrerebbero una base militare permanente iraniana in costruzione sul territorio siriano.

Il Libano è già una provincia iraniana e presto lo diventerà la Siria di Assad. E’ l’espansionismo iraniano, la sua crescente egemonia, finalizzata a cancellare Israele dalle mappe, cacciare gli Stati Uniti dal Medio Oriente ed esportare la rivoluzione khomeinista, la principale minaccia all’ordine regionale. Il presidente Trump ha pronunciato una strategia di contrasto delle mire iraniane. Ora è urgente metterla in pratica – a partire dal corridoio terrestre Teheran-Beirut, che sta per essere completato in Siria – prima che sia troppo tardi. Faster, please!

Perché il problema del Libano (e del Medio Oriente) è Teheran, non Riad

I grandi media e i cosiddetti "esperti" dimostrano ancora una volta di avere la memoria molto corta. Dalle cronache di questi giorni sembra quasi che sia l'Arabia Saudita, con le sue ultime mosse (isolamento del Qatar, guerra nello Yemen, dimissioni del premier libanese Hariri), il principale fattore di destabilizzazione del Medio Oriente. E' vero che il giovane principe ereditario Mohammed…

videogioco, videogiochi,

Mamma, ho (davvero) perso il videogioco?

Di Luca De Dominicis

Se pensate che i soldi si facciano con il petrolio o con le armi vi sbagliate di grosso. Le prime 3 aziende più grandi del mondo per capitalizzazione di borsa fanno informatica. L’Italia sarebbe potuta salire sul podio ma la Storia non è stata indulgente e oggi ci ritroviamo con un potenziale inesplorato e inesploso pronto a prendere l’ennesimo treno…

Buffett, Alwaleed e Belfort, chi sono i big della finanza contro il Bitcoin

L’”oracolo di Omaha” Warren Buffett, il principe saudita Alwaleed bin Talal e il lupo di Wall Street Jordan Belfort, i nomi d’oro della finanza mondiale, si schierano contro bitcoin e criptovalute. I rally della valuta, la sua non regolamentazione e virtualità lasciano perplessi i tre big, nonostante il bitcoin abbia già superato il valore di Goldman Sachs, con i suoi…

Matteo Renzi, Draghi

Chi e perché difende il Jobs Act (anche da Renzi)

Jobs Act, immigrazione e welfare. Ecco quali sono, a giudicare da tutti i retroscena giornalistici, i tre capitoli che Matteo Renzi sarebbe disposto a riscrivere (almeno un po’) per compiacere la sinistra-sinistra, i Radicali, i Verdi, i Socialisti, eccetera, in vista delle prossime elezioni politiche. Eppure ci sono ottime ragioni per sperare che il segretario del Partito democratico non si…

Regione Lombardia, ecco i 6 punti della trattativa con Roma sull'autonomia

Entra nel vivo il delicato processo che porterà la Lombardia ad avere una maggiore autonomia regionale nelle 23 materie concorrenti che, secondo il dettato costituzionale, possono essere amministrate trasversalmente dallo Stato oppure dagli Enti locali. Giovedì 9 novembre il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, è giunto a Roma per avviare l'inedita trattativa. Nella sua valigia il Presidente aveva il mandato…

Difesa Ue, che cosa cambierà davvero con la Pesco

I passi formali cominciano a esserci davvero, forse tra qualche anno vedremo anche quelli sostanziali. L’ambita “Difesa comune europea” sta nascendo sotto una più realistica “cooperazione in materia di difesa” e un passo importante è stato compiuto al Consiglio Esteri-Difesa tenutosi a Bruxelles il 13 novembre quando 23 Stati membri dell’Ue hanno firmato la notifica congiunta sulla cooperazione strutturata permanente…

Roberto Maroni e Luca Zaia

Come e perché Verbania vuole traslocare in Lombardia

Nel turbolento nord che reclama l'autonomia qualcosa si muove, e nei prossimi anni c'è la possibilità che si assista a un rimescolamento di carte che potrebbe ridisegnare non solo i rapporti fra le Regioni e lo Stato, ma anche la stessa cartina geografica. Infatti non ci sono solo il Veneto e la Lombardia a chiedere, a suon di referendum, meno…

Ecco le ultime mattane di Nicolás Maduro in Venezuela

Vent’anni di carcere, revoca dell’iscrizione elettorale e pure della concessione di trasmissione di radio-tv. Il governo del presidente venezuelano Nicolás Maduro non fa sconti a chi - secondo la sua personale versione - promuove l’odio. L’Assemblea Nazionale Costituente ha approvato mediante un decreto legge la scorsa settimana una nuova normativa, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, chiamata “Legge contro l’Odio, per la…

La Pesco e l’asse franco-tedesco

Di Alice Billon-Galland e Martin Quencez

Francia e Germania potrebbero avere trovato il modo per risvegliare “la bella addormentata del Trattato di Lisbona”: la cooperazione strutturata permanente (Pesco). Un diffuso senso di insicurezza ha recentemente aumentato la volontà politica di approfondire la coesione della difesa europea, e questo ha spinto la Commissione europea a presentare, negli ultimi 18 mesi, una serie di iniziative tese a rafforzare…

Tutte le ultime baruffe fra Trump e gli ex leader dell'intelligence Usa su Putin

L'ultimo capitolo dello scontro tra il presidente Donald Trump e la sua Intelligence Community (sua nel senso che il presidente americano è il commander-in-chief e ha poteri simili a quelli di un re negli Stati Uniti) ha come protagonista profondo Vladimir Putin. I servizi americani evidentemente non hanno gradito la posizione presa da Trump riguardo alle interferenze russe nelle presidenziali:…

×

Iscriviti alla newsletter