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Matteo Renzi esce (o cerca di uscire) dall’angolo nel quale era finito venerdì scorso per via delle sue dichiarazioni sui migranti (“aiutiamoli a casa loro“) e torna al centro del dibattito con una proposta economica sulla quale, nelle ultime ore, si è innescata una discussione di merito dai toni tendenzialmente poco polemici e molto propositivi. Al netto del fatto che in molti – pur apprezzando lo sforzo costruttivo dell’ex presidente del Consiglio – si stiano dichiarando non pienamente convinti della sua ricetta, anche e soprattutto nel governo dove abbondano i dubbi e le perplessità.

LA PROPOSTA DEL SEGRETARIO PD

In una delle tante anticipazioni del suo prossimo libro dal titolo Avanti – edito da Feltrinelli e in uscita il 12 luglio -, il segretario del Partito democratico ha proposto di tornare per “almeno cinque anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%“. Dunque, un minore contenimento dei costi per liberare risorse da utilizzare in particolare in un’ottica di riduzione delle tasse: “Ciò permetterà al nostro Paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita“. Il modo – ha scritto ancora Renzi – per continuare la strada seguita durante i mille giorni del suo governo. Ma non di quello attualmente guidato da Paolo Gentiloni, sembrerebbe di potersi aggiungere.

LA POSIZIONE DI GENTILONI E PADOAN

Nei documenti che l’attuale esecutivo ha inviato a Bruxelles, l’obiettivo messo nero su bianco risulta essere, infatti, molto diverso. Come ha osservato oggi sul Corriere della Sera Federico Fubini, “il mese scorso il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha scritto alla Commissione Ue con la proposta di eseguire una correzione netta del deficit di 0,3% del reddito nazionale”. “Sarebbero circa cinque miliardi di sacrifici – continua Fubini – Renzi al contrario propone un’espansione netta del disavanzo di almeno tredici miliardi, se la sua ricetta di un deficit al 2,9% del reddito nazionale vale già dal 2018″. Quale linea prevarrà allora?

LA RICETTA DI CARLO CALENDA

Sempreché Renzi non si sia già proiettato al 2018, quando conta – o meglio spera – di tornare a Palazzo Chigi, magari con l’aiuto di Silvio Berlusconi. “Immagino che la sua proposta riguardi la prossima legislatura“, ha commentato Carlo Calenda in un’intervista sul Corriere della Sera. Il ministro dello Sviluppo economico – di certo non troppo in sintonia con il renzismo negli ultimi tempi – ha promosso ma solo in parte la ricetta renziana. Sì all’aumento del deficit perché – ha spiegato – “l’Italia deve crescere almeno al 2% e generare più occupazione e investimenti“, ma a patto di rispettare alcune specifiche condizioni la prima delle quali è rappresentata dalla necessità di concentrare “le risorse liberate vengano sugli investimenti, la produttività e interventi organici sulle situazioni di reale emergenza sociale“. Mentre adesso – ha polemizzato Calenda – si parla di “tagli fiscali a pioggia e meno bollo auto“. Il ministro ha poi proposto anche di proseguire sulla strada delle privatizzazioni e del taglio del debito pubblico – ultimamente stoppata dal Pd, come risulta pure da alcune recenti prese di posizione di Matteo Orfini (qui e qui due esempi in tal senso) – e di andare avanti con le riforme, a partire da “concorrenza, diritto fallimentare, politiche attive, lavoro 4.0 e pubblica amministrazione“. Al di là dei distinguo e della differenza di vedute, Calenda ha comunque riconosciuto la bontà dell’iniziativa renziana: “La sua proposta ha il merito di riportare la discussione sui contenuti in vista del prossimo confronto elettorale“.

LE CRITICITA’ DELL’OPERAZIONE

Apprezzamento analogo è arrivato all’ex premier anche da un giornalista notoriamente critico come Massimo Giannini di Repubblica: “Comunque la si giudichi, l’idea che del segretario Pd ha un merito oggettivo. Dopo tanti proiettili d’argento sparati contro i “nemici interni” e “l’Europa dei tecnocrati”, Renzi mette finalmente in campo un piano d’azione concreto sul quale confrontarsi, in una campagna elettorale che di qui al 2018 sarà funestata da un inutile spargimento di promesse“. Ciò detto, l’ex conduttore di Ballarò non ha mancato di sottolineare le tante criticità che, a suo dire, il progetto renziano solleva. “Perché la Ue dovrebbe consentire proprio a noi del Club Med di fare più deficit per quasi 2 punti di Pil? Con che credibilità promettiamo di abbattere il debito, dopo che in questi due anni l’abbiamo riportato ai massimi storici?“.  Domande a cui Renzi dovrà cercare di dare una risposta per evitare che la sua idea rimanga solo sulla carta.

L’ATTACCO DI BERSANI

Com’è consueto che sia, la stoccata più dura a Renzi l’ha lanciata uno degli scissionisti di Articolo 1 Mdp. E cioè l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani, alla testa di un partito (Articolo 1-Mdp) che sostiene il governo Gentiloni: “Cinque anni di riduzione delle tasse in deficit. Se è così, si tratta dell’eterna e fallimentare ricetta di tutte le destre del mondo. Aggiungo che i partner europei si possono contestare e contrastare, ma è pericoloso pensare di poterli prendere in giro“. Parole che evidenziano per l’ennesima volta la distanza ormai impossibile da colmare tra il Pd e alcune delle forze politiche che sono sorte alla sua sinistra. Le stesse che criticano ad ogni piè sospinto e con parole durissime Renzi, salvo poi chiedergli di recuperare una dimensione di centrosinistra nell’ottica di una possibile alleanza. Tu chiamala se vuoi coerenza.

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